Siamo il Paese dei condoni e delle sanatorie, dove il bene comune viene però sempre tre passi dietro l’interesse dei singoli e dei politici. Rivestita del sacro furore di chi si assegna il diritto di fare giustizia a generazioni di precari, la crociata della “Buona Scuola” a settembre metterà in campo l’ennesima cieca sanatoria nella scuola italiana. Con una “operazione mai vista prima nella storia della Repubblica” (non è vero, ma chi l’ha fatta in precedenza almeno ha avuto più stile…) a settembre saranno effettuate assunzioni in ruolo di docenti tre o quattro volte superiori alle reali esigenze del sistema scolastico italiano. Ben lungi dall’essere un bene per scuola e studenti, ha invece tutte le connotazioni di un’operazione a scopo elettorale.



Per rendersi conto di quanto sia perverso non solo il sistema delle graduatorie ad esaurimento in vigore nel nostro Paese, ma anche e soprattutto lo sia la sanatoria voluta dalla “Buona Scuola” renziana basta andarsi a spulciare qualcuna di quelle graduatorie relative alle grandi città, le più significative. Sono state appena riviste nell’estate scorsa e, si badi bene, non attraverso un’operazione d’ufficio ma come esplicita espressione di volontà da parte di quanti hanno aggiornato la propria posizione.



L’età media in tutte le Gae è molto alta, grazie soprattutto al blocco degli accessi disposto nel 2008. I più giovani insegnanti della secondaria non hanno meno di trent’anni; a Milano, ad esempio, i più giovani laureati sono nati nel 1986, così come a Roma; nel 1985 a Napoli come a Palermo. Però sono una rarità (uno o due fra tutte le graduatorie!); gli altri si collocano dai quaranta in su. Fino a che età? Addirittura fino a 69 anni! Le Gae della secondaria di Roma sono quelle con più alta percentuale di “precari” con età comprese dai 60 in su: 152, compreso il 69enne di cui sopra (ma poi ce ne sono 3 di 67 e altri 9 che ne hanno 66, verificare per credere…). 



Il 12% dei 152 ultrasessantenni non ha nemmeno mai insegnato o, se l’ha fatto, è stato tanto, tanto tempo fa. A Napoli non va molto meglio: il precario più anziano ha 67 anni, ma ce ne sono altri 126 over 60, di questi ben 25 non hanno mai insegnato. Seguono Milano, con 93 (dei quali 9 senza servizio d’insegnamento), Palermo con 76 dei quali 14 senza servizio, Bari con 44 canuti, dieci dei quali non hanno mai insegnato. Anche Genova, Bologna e Torino hanno precari di età comprese tra 60 e 67 anni, ma i numeri sono più contenuti. La panoramica è necessariamente limitata, sia per quel che riguarda il territorio, sia quanto a ordini di scuola; tuttavia il campione è più che significativo.

Un paio di considerazioni. La prima: in diversi casi si tratta di persone che sono in servizio attivo, anche se non in modo stabile e continuativo. Il venire immesso in ruolo nel generico organico funzionale non rappresenterà, nel migliore dei casi, nemmeno una conquista economica, dato che probabilmente la ricostruzione della carriera verrà profondamente ridimensionata. C’è qualche convenienza?

La seconda: come s’è visto, non sono una rarità quelli che non hanno mai insegnato per 30-40 anni; la domanda è: ma come hanno fatto ad arrivare a 60 anni e più senza fare un giorno di supplenza? Delle due, una: o sono vissuti di rendita o hanno svolto un altro lavoro. In entrambe le ipotesi sarebbe più moralmente corretto e socialmente ragionevole da parte loro lasciare quelle cattedre a insegnanti più giovani, magari anche più capaci di incontrare i giovani per vicinanza d’età e garantire loro percorsi di apprendimento maggiormente aderenti alle nuove didattiche e alle recenti innovazioni ordinamentali. 

Se non bastasse quanto fin qui elencato — tutto documentato e verificabile, visto che le Gae sono pubbliche — c’è un’altra osservazione che mette in seria discussione la grossolana operazione che il governo si appresta ad attuare. Quasi tutti quelli che sono presenti in più graduatorie, nel tempo hanno privilegiato l’insegnamento in una sola classe di concorso e non hanno mai insegnato nelle altre. Se rientreranno nell’organico funzionale potranno essere utilizzati per coprire insegnamenti dei quali ormai sanno ben poco, soprattutto in relazione alle modifiche ordinamentali e didattiche intervenute negli ultimi 10 anni. Ed ecco un’altra piccola “mazzata” alla qualità dell’insegnamento (altro che “Buona Scuola”!).

Che ci si stia avviando su una strada tutt’altro che utile alla qualità della scuola italiana lo dimostrano i tanti segnali di dissenso che vengono anche dalla stessa maggioranza di governo. Ne è un esempio il blando tentativo di “limitare il danno” che sta dietro alla risoluzione presentata dall’on. Santerini, attualmente in discussione in VII Commissione alla Camera; se ne sono già occupati sia la stampa specializzata che qualche quotidiano. Articolata in 15 impegni specifici, sostanzialmente chiede al governo di distribuire il nuovo contingente di docenti in modo non casuale o a pioggia ma correlandolo alle reali esigenze delle scuole e del territorio, in modo stabile e ottimizzando le professionalità disponibili, anche ai fini della prevenzione degli abbandoni; chiede anche di anticipare le operazioni di assegnazione del personale alle scuole e di formarlo in modo adeguato ai compiti cui sarà destinato e chiede pure una formazione in servizio continua e permanente. Ma chiede anche “una decisa innovazione dell’anno di prova, nel corso del quale accertare il possesso delle competenze di base dei docenti assunti, rilevandone crediti e debiti formativi in base ai quali prevedere la formazione” e — questo il punto che ha fatto “saltare le valvole” a qualcuno — “eventuali possibilità di rinvio o recessione del contratto“. In fondo, dopo quanto s’è visto sopra, sarebbe una raccomandazione meno che minima, niente di trascendentale o politicamente scorretto; ma per qualcuno è risultato molto “fastidioso”… Purtroppo, invece di fare un’azione di pulizia preventiva delle graduatorie  (del censimento sulle Gae che la “Buona Scuola” aveva annunciato per prima della fine di dicembre ancora non c’è traccia), si cerca di rimediare ex-post e senza neanche tanta convinzione. 

Per il momento in VII Commissione stanno facendo melina: in tre sedute svolte sull’argomento non c’è stato un solo intervento esplicito sul merito della risoluzione. Si è provveduto invece ad abbinarvene un’altra, presentata dal Movimento 5 Stelle. Caratterizzata da un lungo elenco di questioni secondarie e collaterali, che vanno dall’auspicabile riduzione degli alunni per classe fino alla più che discutibile introduzione di psicologi e pedagogisti nelle scuole, formula un mare magnum di richieste che vanno ad “annacquare” quelle della risoluzione Santerini, limitandone così la portata di vincolo per il governo.

Un’ultima considerazione, in relazione alla recente sentenza della Corte europea di Giustizia sull’abuso tutto italiano dei contratti a termine nella scuola. Sono a tutti noti il vincolo imposto al superamento dei 36 mesi e le prescrizioni contenute nella sentenza, così come sono ormai quasi quotidiane le sentenze dei giudici di merito italiani che condannano il Miur sulla reiterazione dei contratti a termine. Logica vorrebbe che, per evitare di soccombere sotto la valanga di condanne che stanno per arrivare, il ministero (il governo) ripartisse con criteri oggettivi e compatibili con la sentenza della Corte europea i 148mila posti fra i veri aventi diritto, che non sono tutti nelle Gae. Basta dare un’occhiata, anche solo a campione, alle graduatorie per rendersene conto. Selezionando, ad esempio, i 50enni si verifica subito che non sono molti ad essere in possesso del requisito dei 36 mesi; nella sola provincia di Roma per la classe di concorso A019 (diritto ed economia) su circa 50 iscritti nati nel ’65 più della metà non arriva nemmeno a due anni di servizio. E la situazione non migliora in altre province o per altre classi di concorso; anche qui basta avere la pazienza di verificare. Invece, di neoabilitati con Pas e Tfa, necessariamente non iscritti nelle Gae, ce ne sono oltre 60mila in possesso dei requisiti richiesti dal Corte europea. 

Anche se non lo dicono, al Miur lo sanno bene, ma finora nessuno ha dato segni di aver compreso la situazione.