“Ragazzi, vorrei farvi una domanda. Siete giunti al quinto anno del liceo e nessuno come voi può dire quello che non va e deve essere cambiato nella scuola italiana. Guardatevi un attimo indietro e ditemi quali sono i principali problemi che avete avuto”. 

Si era a dicembre, durante la settimana dell’occupazione. Una manciata di studenti (nemmeno il dieci per cento) avevano requisito la palestra della scuola: tanto bastava perché il nostro istituto risultasse “occupato” sulla stampa locale. In realtà la stragrande maggioranza degli studenti era in classe, si facevano lezioni regolari, il moto popolare si sarebbe sgonfiato di lì a poco per mancanza di rivoluzionari. Ma io non volevo far finta che non stesse accadendo niente e, soprattutto, volevo capire.



La prima risposta è stata… non so come definirla: “Manca la carta igienica”. Già, manca la carta igienica, ma intanto nella nostra scuola si stanno facendo imponenti lavori per metterla a norma: due ascensori, una rampa di scale nuova. Sono interventi strutturali costosissimi, ma gli studenti non li vedono. Manca la carta igienica! 



“Sì, d’accordo — ribatto — ma non è che in futuro giudicherete gli anni scolastici per la mancanza di carta igienica. Non c’è proprio nient’altro da mettere in evidenza?”. Presto emergono problemi più seri. Che poi si riducono a due: la discontinuità didattica (quel continuo turn-over di docenti che ha costretto i ragazzi in cinque anni a dover ricominciare sempre da capo) e la scarsa professionalità di alcuni docenti incontrati.

Ne deduco che non è cambiato niente. La scuola è ferma ad almeno quarant’anni fa, quando sui banchi ci stavo io. Discontinuità didattica: tre docenti di italiano in tre anni di scuola media, sette insegnanti in cinque anni di liceo (e mi limito ad una sola materia). Scarsa professionalità dei docenti: ho incontrato gente che non sapeva spiegare e presentare la propria materia, gente che non sapeva entrare in rapporto con gli studenti, gente che non sapeva nemmeno parlare correttamente l’italiano, gente che non sapeva tenere una classe. Ne ho viste di tutti i colori. Certo, ci sono stati anche dei veri maestri, ma il loro numero non raggiunge quello delle dita di una mano.



Non è cambiato niente. Oggi, quando gli studenti mettono da parte un attimo lo spinoso problema della carta igienica e si concentrano davvero su cosa significa ed è la scuola, arrivano alle mie stesse conclusioni. Semplicemente perché vivono le stesse identiche situazioni di quarant’anni fa. Intanto le graduatorie dei precari si sono ingrossate, il turn over è diventato endemico, starei quasi per dire “istituzionalizzato”, nessuno valuta la capacità, la professionalità di un docente, così che chi lavora e chi non lavora, chi fa del bene ai ragazzi e chi fa loro del male sono sullo stesso piano. 

Gli scatti di anzianità scattano per tutti allo stesso modo. Nessuno verifica se chi insegna è capace di farlo, se è curioso, appassionato, o se è fermo ad una routine di anni e anni. Chi s’impegna e si gioca nel suo lavoro lo fa solo per una passione o per una dignità personale, finché continua a crederci. Poi magari si stanca anche lui e si accoda al grigiore generale.

C’è un altro aspetto critico, rilevato dagli studenti, ed è quello relativo al curriculum di studio. Non capiscono perché nei vari livelli di scuola ci si ritrovi a ripetere sempre le stesse cose, ad affrontare gli stessi contenuti. Non capiscono perché non ci sia abbastanza specializzazione. Sanno benissimo che altrove, in Europa e nel mondo, dopo un biennio di base un giovane può scegliere un percorso più centrato sulle proprie aspirazioni e le proprie attitudini. Tirando le somme, sembra proprio che il bisogno dei ragazzi sia il grande dimenticato nella scuola italiana. In effetti se ne parla tanto poco che se lo dimenticano gli stessi studenti.

La riforma della scuola tornerà tra poco ad essere un tema dibattuto, con l’arrivo dei decreti. Si dibatta e si discuta, ma senza perdere mai di vista la realtà. Si utilizzi un metodo che mette al centro i veri problemi di un giovane, che diventano tanto più grandi e gravi quanto più quel giovane è serio e consapevole ed ha delle attese precise. Si mettano in moto dei processi virtuosi affinché uno studente non debba avere la sensazione di buttar via un periodo tanto importante per la sua vita.