In questo tempo di violente, drammatiche guerre in tante parti del mondo, si profila una piccola “guerra” a noi vicina, le cui vittime sono i disabili e le loro famiglie. Il terreno di lotta è la scuola, dove è messo in dubbio il diritto allo studio, riducendo le facilitazioni che ne consentono la frequenza agli studenti in carrozzella e a quanti hanno bisogno di un’assistenza personale.
Il Consiglio per la Giustizia amministrativa della Sicilia, nella regione autonoma equiparato al Consiglio di Stato, il 17 novembre 2014, ha emesso una sentenza nella quale, pur riconoscendo il diritto personale e sociale del disabile, di fatto lo sminuisce, condizionandolo alle difficoltà economiche dello Stato e delle sue istituzioni.
La motivazione del provvedimento è nell’idea che, essendo la responsabilità primaria della famiglia, lo Stato possa e non debba intervenire, tranne che nei casi di povertà.
Ma porre condizioni ad un diritto sancito dalla Costituzione, il diritto allo studio, significa eroderne il valore, oggi per i disabili e domani per qualche altro gruppo di studenti.
In questione è il diritto alla frequenza della scuola, ambiente deputato ad accogliere e preparare i giovani al lavoro e alla vita attiva. Sono già tanti i vincoli ambientali, sociali, economici che rendono diseguali i giovani che vi approdano, ma per i diversamente abili, essi sono ancora più numerosi e difficili da affrontare senza aiuto; aiuto dei docenti di sostegno, spesso lasciati soli dai colleghi di classe, e chiamati ad un lavoro difficile, senza strumenti adeguati e proporzionati alle disabilità dei singoli.
La sentenza si riferisce, in modo specifico, all’assistenza personale, finora erogata dal Comune o dalla Provincia, ma l’idea che il diritto possa essere vincolato all’economia dello Stato sta già determinando un coinvolgimento del numero delle ore di sostegno attribuite a ciascun ragazzo. Si parla di questa ipotesi al Comune di Parma, e ciò sta accadendo a Palermo, dove la sentenza sta dando all’Avvocatura dello Stato il via per ricorrere contro le assegnazioni ottenute dalle famiglie presso il Tar.
Il CGA indica, del resto, una tendenza contraria ai pronunciamenti della Corte costituzionale; e certo una soluzione unitaria, rispettosa della Costituzione, occorrerebbe trovarla per tutti, in Sicilia e altrove.
È dei giorni scorsi poi la notizia di un fatto di cronaca che ha disgregato una famiglia, quella di Leo, un neonato con la sindrome di Down, rifiutato dalla madre e tenuto dal padre, nonostante il divorzio voluto dalla moglie.
Al di là dell’accaduto e senza voler esprimere facili giudizi, è inevitabile pensare che, se è chiamata in causa solo la famiglia, essa difficilmente, forse solo eroicamente e cristianamente, può reggere all’impegno e al dolore quotidiano che tale compito richiede. Troppo spesso i genitori, nelle aule e nelle presidenze scolastiche, dicono di sentirsi abbandonati.
Per tutto ciò sembra drammatica e insensata l’ipotesi di lasciare alla singola famiglia, accrescendone il carico, la gestione e l’educazione di un ragazzo diverso per abilità, intelligenza o malattia.
Non è priva di conseguenze, per la nostra società e per il nostro essere uomini, la scelta fra l’esclusione e l’inclusione.