Cosa sarà? Così si chiedeva Lucio Dalla e mi chiedo anch’io, mentre raggiungo l’aula docenti della scuola presso la quale io sono già un professore con tutte le sue cose a posto, mentre qualcuno il pomeriggio mi tratta ancora come se fossi uno studentello sbarbato. Cosa sarà a spingermi a tenere duro, a fare tutto quello che ho fatto e che devo fare ancora?



Intanto appena entro nell’aula docenti mi assale un bidello: non sarà che anche lui vuole qualcosa di strano da me; che anche lui può vantare qualcosa nei miei confronti? Per fortuna devo solo firmare un avviso, quello dei corsi per la formazione della generazione web a cui i docenti della scuola sono caldamente invitati a partecipare. Vabbè che sono un supereroe, però spero almeno che questi mi vengano risparmiati, dico al vicepreside, ma ho paura che torni fuori quel verbo al futuro, quel si vedrà che ormai mi tormenta.



Guardo bene il programma: è possibile che io che sto studiando da professore passi intere giornate sull’uomo del bronzo e poi mi ritrovi corsi dai titoli così accattivanti alla scuola dove insegno da un po’? Perché se la scuola che cresce deve ragionare intorno alla trasformazione dell’ambiente di apprendimento, all’innovazione delle modalità di accertamento delle competenze e degli apprendimenti, all’innovazione dell’apprendimento mediante Ict, all’innovazione della funzione docente con riferimento alle strumentazioni telematiche e alla formazione in e-learning dei docenti, io all’università mi devo incurvare sul banco a prendere appunti su come l’uomo del bronzo ha trovato una strada diversa per casa? 



C’è qualcosa che non torna, chiedo al mio collega carismatico e saggio. E lui mi dice che sì, non torna nemmeno a lui e mi dice però di guardare bene cosa vogliono dire quei corsi: sei proprio sicuro, mi chiede, che vorresti fare cambio tra i due? Dài, mi dice, non vorrai farmi credere che uno sveglio come te ritenga che la scuola si cambia perché fai la lezione con la Lim, che peraltro usi già. Di cos’altro hai bisogno, per capire che anche qui, sono titoli di coda di un’unica favola che continua a girare per prendere in giro genitori e studenti, come se la scuola del futuro fosse quella roba lì digitale. 

Ah, no? Allora perché si parla soltanto di questo e di Bes nella scuola italiana? Perché mi tocca vedere libri di testo spezzettati e fotografati, fascicoli per coloro che leggono male, per quelli che scrivono peggio o che momentaneamente non hanno condizioni ideali per apprendere? Perché sono soldi, mi dice il mio collega: vuoi che possano aumentare a me lo stipendio perché sono bravo, se hanno due soldi da spendere? Ma va, investire si deve. La buona scuola investe, non spende.

Insomma, qui nella scuola dove sono docente sembra che lo sanno anche i muri che non basta un filmato a rendere buona la scuola, ma si insiste solo su questo; là dove studio per diventare docente lo sanno che non serve studiare anche il modo in cui l’ascia di bronzo è forgiata per rendere buona la scuola, ma si insiste solo su questo. Mi chiedo se sto facendo la cosa giusta, se per caso non hanno ragione Carlo e Lorenzo, se vale la pena di soffrire così. 

Poi mi capita di sentire un altro collega, una storia che sembra inventata da Kafka e invece è uno che ha avuto la mia stessa idea ma una fortuna diversa. Ecco, qui divento un po’ come Omero e lascio che sia lui, questa specie di Ulisse rognato a raccontare come al Tfa non ci sia neanche arrivato.

Attento, mi dice: io ho fatto tutta la trafila che hai fatto anche tu, ma io per il greco e il latino. Non eravamo tanti come voi, mi dice, ma comunque un bel po’. Ma anch’io sono bravo — mi dice — e passo il quizzone, lo scritto, l’orale. Ho un punteggio che sono appena sopra il decimo posto. Mi frego le mani, vedrai che riesco a insegnare, vedrai che bello sarà, mi dico. E invece ecco che l’università mi comunica che i posti per il Tfa qui riservati per questa classe di concorso arrivano giusto fino al dieci (orca, penso, questo qui è davvero meno fortunato di me). Sì, dice lui, perché intanto mi fanno sapere (ma davvero? Ma chi? Il signornonsochi si è premurato di dirti ‘sta cosa?) che forse si può avere un posto a Vercelli o a Pavia o a Venezia, chissà. Davvero? chiede l’Ulisse che adesso racconta, davvero posso forse sperare? Cosa sarà che lo fa sperare? Passano i giorni, passa anche un mese. L’Ulisse telefona e chiede: ma allora, c’è un posto per me? Anche lontano, ma visto che ho vinto il concorso, che ho preso dei voti che mi hanno fatto arrivare appena sopra il dieci su cento, avrò diritto ad avere ‘sto corso, no? Nessuna risposta. Lo sapevo, lo sapevo che non era bello sperare: ma non glielo hanno mica comunicato. Ma no, all’Ulisse hanno detto che se non avesse ricevuto entro un tot la risposta, doveva ritenersi escluso. Ma fino a quando, escluso? E potrei comunque rientrare  nel prossimo corso, avendo passato gli esami, avendo avuto un ottimo punteggio finale? Tutte domande che non hanno trovato risposta: in quel tot nessuno ha avanzato richieste per lui, non l’hanno chiamato in laguna, in mezzo ai campi di riso, nemmeno dai miei amici di Parma. E allora, Ulisse, cosa fai? Ulisse continua a girare nel mare di supplenze piccole o brevi, leggendo il suo amato tragico greco, un destino che in fondo era scritto, dice con un ghigno disperato. Ma può uno stato che investe nella scuola, anzi nella buona scuola, trattare così i suoi figli migliori? 

Vuoi vedere che sono fortunato davvero? Vuoi vedere che è meglio che la smetta di lamentarmi dell’improvvisazione, della mancanza di prospettive, della inutilità di lezioni e tirocinii? E subito, mentre comincio a convincermi anch’io che tutto sta andando nel migliore dei modi possibile, ecco che a scuola arriva notizia che a breve partiranno davvero ‘sti tirocinii. Mi avevano chiesto, a suo tempo, sempre lui, sempre il signornonsochi, di indicare nel foglio se conoscevo qualcuno che potesse seguirmi nel mio tirocinio e io, certo che sì, avevo scritto. Ho un collega alla scuola che ha un carisma galattico, chiedo a lui se mi prende a bottega. Se proprio devo, almeno imparo da lui. Aspetto e spero che succeda davvero così. Intanto frequento il corso del prof dell’uomo di bronzo, faccio il suo esame, lo passo, arriverà qualcun altro su ipallage e metonimia. Fa niente, ripeteremo anche quelle. Faremo l’esame. Ma almeno fatemi fare il tirocinio qui, alla scuola dove ho la fortuna di insegnare davvero, lasciatemi in mano a ‘sto professore che insegna ancora Leopardi o Montale chiedendo ai ragazzi di cantare il loro canto notturno o di rispondere a Eugenio, circa il male o il bene di vivere.

Prometto che non mi lamenterò più, purché mi lasciate imparare da lui che guarda gli alunni e li chiama per nome e poi compila il registro elettronico, spulcia youtube e tira fuori Gassman che legge la pioggia che inonda il pineto e poi dice: è bello, però è più secco e tagliente quello di Herliztka: sentiamo anche lui! 

Prometto che non la menerò più al signornonsochi, che lascio al signor primo ministro tutti gli specchi del mondo, scriverò la tesi finale su quello che vorrete, magari anche sui Bes o sull’ Ict, ma lasciatemi credere ancora che sono qui per imparare a tirare grande un pezzo di mondo che si affida a me come a un maestro, a una guida. Non so se c’è una bottega dove si impara davvero ‘sta cosa, ma, se c’è, assomiglia a ‘sta scuola, a ‘sto prof col carisma. Assomiglia a questa classe dove già insegno e la vita mi interroga con occhi attenti o sguardi disperati. Tutto il resto è noia, mi viene da dire. E mi rendo conto che ogni volta finisco con una canzone. Mi piace così. Aspetto la mail, aspetto di sapere le ore, i giorni, le cose che dovrò fare e dove. Non so se mi metterò a raccontare anche quello, non so se il viaggio adesso sarà meno difficile: io so che questo è il mestiere più bello del mondo e che vorrei imparare davvero a viaggiare.

Va bene, prometto che se resto qui a imparare la smetto di menare il torrone. Ma se mi fate fare davvero quattrocento lezioni di prova chissàdoveperché arriverò anch’io alla quattrocentesima puntata di ‘sta solfa italiana. Fosse solo per questo, dice il mio galattico e carismatico prof, ti dovrebbero lasciare con noi. Continuino pure a guardarsi allo specchio, a  raccontarsi la buona scuola. E lasciassero fare a chi la deve, la può e la sa fare, una scuola buona.

Fine della terza e ultima puntata? Speriamo. 

(3 – fine. Leggi la prima e la seconda puntata)