E ci risiamo… Dopo il “nulla” di contenuti registrato alla kermesse renziana di domenica scorsa, la “Buona Scuola” è stata ancora rinviata: al Consiglio dei ministri di venerdì 27 febbraio, prima, e al 3 marzo poi. Ormai, a forza di continui rinvii chi ci crede più? Martedì assisteremo al solito copione fatto di effetti scenici, altisonanti termini anglofoni e slides variopinte; di contenuti veri e propri e — soprattutto — di “aridi testi normativi”, niente. Per quanto tempo ancora?
Eppure qualcosa, qua e là, viene fuori, affidata alle sapienti penne di pochissimi e fidatissimi giornali di larga diffusione e certo credo. Anticipazioni, ballon d’essai, piccole fughe in avanti: per sondare il terreno. È la politica incapace di un confronto aperto e veramente pubblico (e basta, per favore, con la balla della “prima vera consultazione popolare sulla scuola”: non ci crede più nessuno).
L’ultima “fuga di notizie”, ben pilotata e a dir poco inquietante, è quella riportata dal Sole 24 Ore di martedì a proposito di indennizzi ai precari con più di 36 mesi di servizio. Dice l’articolista: «si sta facendo strada anche l’ipotesi di un “maxi-indennizzo” studiato per “tamponare” gli effetti della sentenza Ue di fine novembre scorso»; e subito dopo fornisce i contorni, ben definiti, della proposta: «ai professori che hanno lavorato da 3 a 5 anni con rapporti a termine su posti vacanti e disponibili verrebbe riconosciuto, a domanda, un “risarcimento” di 2,5 mensilità. Che sale a 6 mensilità se gli anni di insegnamento “a termine” sono da 5 a 10 e si arriva a un massimo di 10 mensilità per “precariati” di oltre 10 anni». Quasi un estratto da bozza legislativa; manca solo la clausola che, in caso di accettazione, come premio al Governo per una siffatta liberale concessione, preveda la riduzione dell’indennizzo in caso di assunzione immediata del precario e la sua rinuncia a qualsiasi altra futura azione di rivalsa legale.
L’articolista ci riferisce che il Miur stima in poco più di 4mila i possibili destinatari dell’indennizzo; fonti sindacali parlano invece di oltre 80mila; altri ancora parlano di «almeno 20-25mila persone con ottime probabilità di vincere il ricorso». Comunque sia, c’è da chiedersi se la proposta governativa sia effettivamente conveniente rispetto ad un ricorso legale, soprattutto in considerazione delle sentenze dei giudici di merito italiani che si stanno susseguendo dal 29 novembre, dopo quella della Corte di Giustizia europea; sentenze che, proprio per indicazione di quest’ultima e in carenza di norma generale, fanno giurisprudenza. Basta fare una breve ricognizione per rendersi conto che i risarcimenti decisi dai giudici a favore dei ricorrenti, spesso disposti accanto alla stabilizzazione in ruolo, sono molto più cospicui delle offerte di indennizzo del Governo. Il tribunale di Torino, ad esempio, ha stabilito il risarcimento per 22mila euro a favore di un precario da 7 anni; con l’indennizzo lo stesso non percepirebbe più di 8-9mila euro (e salvo clausole riduttive…). In altri casi le cifre risarcite sono state anche maggiori. Dov’è la convenienza? A chi conviene fare le nozze coi fichi secchi?
L’arroganza della proposta governativa è inversamente proporzionale alla sua rilevanza in termini risarcitori; ci manca solo che il decreto-legge introduca anche un termine di decadenza per le azioni legali.