Se era abbastanza facile prevedere che nel discorso del presidente Mattarella alle Camere trovasse spazio un richiamo alle questioni scolastiche, non era invece immaginabile che il breve cenno — coerente con la sobrietà dell’intero discorso — ad esse dedicato fosse disposto in una posizione strategica, addirittura a capo delle garanzie che la Costituzione è tenuta a tutelare: “Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro”.
Questa breve affermazione rinvia a tre fondamentali esigenze. La prima è di natura materiale e riguarda la sicurezza degli istituti scolastici. Troppe scuole sono precarie, disadorne, in qualche caso purtroppo anche pericolose. La civiltà di un popolo si misura dalla cura manifestata verso le strutture nelle quali gli allievi trascorrono molte ore del loro tempo: non è ininfluente l’ambiente nel quale si frequenta la scuola. Il governo ha promesso di occuparsene, speriamo che i fatti lo dimostrino.
La seconda riguarda la capacità della scuola di stare al passo con i tempi. Ci permettiamo di interpretare il pensiero del presidente: una scuola è “moderna” non solo se dispone di molti computer, di tante lavagne luminose, di adeguati ambienti di apprendimento, se insomma è efficiente. Tutte necessità, beninteso, condivisibili, ma non sufficienti: è “moderna” — e cioè attuale — se è in grado di corrispondere e formare a quei valori intorno a cui si costruisce il senso etico di una società e che il presidente ha posto ad architrave del suo discorso: responsabilità, solidarietà, condivisione, onestà, legalità. Valori non da predicare ma da vedere testimoniati, prima di tutto, dagli adulti.
La terza annotazione associa il diritto allo studio al diritto al futuro. Questa affermazione costituisce l’esigenza più impegnativa. Senza una buona scuola non c’è un futuro affidabile, nessuna società si può permettere di affidarsi a una generazione di incompetenti, Dio non voglia di ignoranti. Nelle parole del presidente c’è però molto di più: l’affermazione che la scuola è un bene prezioso, un tesoro apparentemente nascosto che svela tutta la sua potenzialità soltanto quando lo mettiamo a frutto.
Pensavamo che una volta sconfitto l’analfabetismo strumentale e aperta finalmente la porta della scuola a tutti per un buon numero di anni non tornassero i tempi dell’ignoranza. Purtroppo ci accorgiamo quotidianamente che non è così. Forse non abbiamo saputo garantire il diritto allo studio fino in fondo, forse non siamo stati capaci di curare la scuola come un parte irrinunciabile del bene comune.
Non è certo necessario aver svolto complessi studi di sociologia dell’educazione per scoprire che la scuola non assicura più il posto di lavoro, non assicura la mobilità sociale e la stessa equità è più un miraggio che una realtà. A fronte di queste constatazioni un insidioso dubbio si fa strada in molte famiglie e tra numerosi giovani: cosa serve andare a scuola?
Per molto tempo abbiamo dato per scontato la relazione tra scuola, educazione e speranza nella vita, aiutati dai beni materiali e sostenuti dall’idea di progresso infinito. Oggi questo passaggio è più difficile, perché la crisi di fiducia ha portato con sé anche la crisi dell’educazione e la sfiducia nella scuola.
Bene ha perciò fatto il presidente Mattarella a ricordarci che la scuola serve — eccome — e che senza scuola dove si studia sodo e ci si forma come persone non c’è futuro.