E’ avvilente aprire il sito dell’Espresso, famoso settimanale della sinistra radical-chic italiana, e scoprire che ancora una volta si è scagliato con furore contro le odiate scuole private: Alle scuole private un fiume di soldi pubblici.

Ha senso replicare? L’articolo, infarcito di distorsioni e illazioni, trasuda una avversione così radicata, così viscerale, così ormai fuori dal tempo e dallo spazio (se pensiamo a quanto accade nella maggior parte degli altri paesi europei, ove il sistema integrato e paritario è apprezzato e ben consolidato), così risoluta a dispetto di ogni evidenza e di ogni dato numerico, che diventa difficile immaginare anche solo un tentativo di dialogo sulle questioni di fondo: primato educativo della famiglia, libertà di scelta, pluralismo educativo, sussidiarietà, autonomia e responsabilità, eccetera. Tutti temi che, a quanto pare, l’Espresso vede col fumo negli occhi…



Come ha detto un grande della storia, però, “se costoro tacciono le pietre grideranno” (Lc 19, 40), e allora almeno qualche dato di rettifica si rende necessario.

“Un fiume di soldi pubblici alle scuole private”, titola il giornale: ma quando mai? Alle scuole paritarie, che rappresentano l’11,2% degli alunni frequentanti le scuole italiane, è destinata per il 2015 una cifra (472 milioni di euro) inferiore all’1% delle risorse totali gestite dal Miur (circa 50 miliardi di euro).Se poi mettiamo nel paniere anche l’istruzione terziaria, diventa lo 0,56%. (Fonte: Ragioneria generale dello Stato, Il budget dello Stato per il triennio 2013/15). Una briciola di una immensa torta, cioè. Come potrà mai cambiare le sorti delle 41mila scuole statali la spartizione di questa microscopica briciola? Suvvia, non siamo  ridicoli.



“Un fiume carsico di altri 200 milioni di euro” dice la Cgil. Affermazione capziosa. Occorre infatti considerare che questi ulteriori finanziamenti sono il frutto di convenzioni locali che i Comuni stipulano di buon grado con gestori privati esclusivamente per la scuola paritaria dell’infanzia e per il sostegno dell’handicap. Un servizio utilissimo e molto apprezzato dalle famiglie. Per gli enti locali la gestione diretta di tutte le scuole dell’infanzia, tra l’altro, è insostenibile ed anche antieconomica, al punto che in molti casi stanno cercando di esternalizzare l’intero servizio, cedendo anche quelle che ancora hanno in carico. Un atto di buon senso, che converrebbe anche allo Stato centrale. 



Ormai lo sanno anche le pietre: le scuole statali costano di più e spesso funzionano peggio, producendo oneri per lo Stato di circa 8mila euro/anno per alunno, a fronte dei 450 euro delle scuole paritarie. Se queste chiudessero, con grande giubilo di qualcuno (e come stanno chiudendo a decine a causa di una tassazione vergognosa), il milione di studenti che le frequentano si riverserebbe nelle statali. Quanti miliardi di oneri in più dovrebbe accollarsi lo Stato? E da chi li andrebbe a prendere, dall’Espresso?

“Soldi pubblici” dicono. Ma i soldi non sono proprietà dello Stato, bensì sono (dovrebbero essere….) da esso raccolti solo per renderli ai cittadini sotto forma di servizi. E coloro che mandano i figli alle scuole non statali, a causa della esiguità dei contributi, pagano due volte: con le tasse e con le rette. Bel servizio, per le famiglie delle cosiddette paritarie. Un “servizietto”, dovremmo chiamarlo.

Eppure c’è una legge, varata durante un governo di centrosinistra, da un ministro ex comunista, che ha riconosciuto l’utilità e la valenza pubblica della scuola non statale purché gestita secondo determinati criteri: la legge 62/2000, per la quale la scuola pubblica italiana è costituita dalla scuola statale e dalla scuola non statale “paritaria”. Paritaria, appunto.

Istituti in massima parte supercontrollati, checché ne dicano alcuni. Talvolta al limite della vessazione… Scuole che in tantissimi casi producono eccellenza didattica e innovazione. Qualche prova? Si legga, per esempio, il recentissimo rapporto del Miur sull’insegnamento in lingua straniera nella Scuola dell’Infanzia; oppure i risultati delle prove Invalsi, ben illustrati nel capitolo curato da  Patrizia Falzetti e Roberto Ricci (Invalsi) all’interno del testo di recente pubblicazione S.O.S Educazione. Statale, paritaria: per una scuola migliore.

Basterebbe documentarsi davvero, senza pregiudizi. Oppure, meglio ancora, andare a verificare sul campo, come del resto testimonia in chiusura anche l’articolo dell’Espresso, presentando il caso di tre “private” virtuose. Però attenzione: quei piccoli esempi in realtà sono molto ma molto diffusi, e non rare eccezioni come subdolamente vogliono far credere.

E se c’è, come sappiamo che c’è (in particolare in alcune zone d’Italia, in cui però enormi carenze o illegalità sono spesso all’attenzione della cronaca anche per i servizi statali…), uno “zerovirgola” di diplomifici e/o di scuole non statali che commettono irregolarità, questo non giustifica l’assurda, controproducente e liberticida richiesta di statalizzare tutto. Anzi, dovrebbe spingere verso una piena attuazione della parità scolastica e della libertà di scelta educativa, insieme ad un efficace sistema di controllo e valutazione di tutte le scuole, in un effettivo contesto di autonomia e responsabilità.

Non abbiamo bisogno di alimentare contrapposizioni sterili e fuori dal tempo. L’educazione delle nuove generazioni è un bene troppo prezioso che richiede la collaborazione di ognuno e di ciascuna scuola, statale e paritaria che sia, perché da essa dipende il futuro del nostro paese. Anche dell’Espresso.