All’inizio ci scherza su, ma solo fino a un certo punto. “Quando ho visto la conferenza stampa del premier non volevo crederci… me lo lasci dire: rivendico il merito di avere portato per prima nel dibattito politico e istituzionale il rafforzamento del ruolo di responsabilità e di coordinamento del dirigente scolastico, gli albi professionali e la chiamata diretta dei docenti”. A dirlo è Valentina Aprea, attuale assessore all’istruzione e lavoro della Regione Lombardia a guida Roberto Maroni, già responsabile scuola di Forza Italia e sottosegretario all’Istruzione negli anni ruggenti di Silvio Berlusconi, dal 2001 al 2006. Il suo nome è legato al progetto di legge 953, “Aprea-Ghizzoni”, in cui convergevano ben 9 proposte parlamentari. Era l’ultimo sviluppo di un ddl che Aprea aveva elaborato fin dal 2008, nel quale comparivano molti concetti chiave del ddl Buona Scuola licenziato la scorsa settimana. “Renzi si ascrive il merito, ma deve stare attento — dice Aprea al sussidiario — perché se non difende e corregge il meglio delle riforme che introduce, molto facilmente può fare flop”.
Aprea, quel suo testo, il pdl 953, ha avuto una lunga metamorfosi, arrivando a sintetizzare, quattro anni dopo, ben 9 proposte parlamentari…
Sì, ma mantenendo alcuni capisaldi che sono quanto mai attuali. Grazie alla sinistra più aperta e al contributo di Bassanini e Paino, si arrivò già nel 2009 all’elaborazione di un testo condiviso, che oggi torna di attualità.
In quali punti?
Sicuramente nei temi che riguardano l’articolo 2 (“Autonomia scolastica e valorizzazione dell’offerta formativa”) e l’articolo 6 (“Organico dell’autonomia per l’attuazione dei piani triennali dell’offerta formativa”) del ddl governativo, che introduce gli albi territoriali. Finalmente una buona notizia.
Fu lei a proporli per prima.
Sì, e sono contenta che Renzi li abbia fatti suoi. Finora la scuola italiana ha ragionato sulla base di graduatorie, sia per l’immissione in ruolo sia per l’assegnazione delle supplenze. Passare dal mero punteggio all’albo con la proposta di incarico da parte delle scuole è un salto di qualità notevole, che, almeno nella mia proposta, rimandava ad una professionalità degli insegnanti riconosciuta, specifica, aperta ad una riforma dello stato giuridico della professione docente.
Il dirigente sceglierà i docenti dall’albo territoriale, d’altro canto però, Renzi e Giannini lo hanno detto e ripetuto, nella scuola si entrerà solo per concorso.
Questo sarà un nodo da risolvere, perché prevedere l’assunzione in ruolo per l’immissione negli albi territoriali attraverso concorsi vecchia maniera non è possibile. Sono scelte inconciliabili. Occorre un approccio più sussidiario.
Come?
Tornando alla mia ipotesi: concorsi effettuati da scuole o reti di scuole.
Si spieghi, per favore.
C’è una fase transitoria, perché la Buona Scuola iscrive negli albi le 100mila unità inserite nelle graduatorie a esaurimento. E’ una scelta politica che non commento, anche se mi limito a dire che prescinde dai fabbisogni delle scuole e immette personale docente senza una preventiva valutazione. Ma io sono preoccupata anche per la fase a regime. Non si può prevedere per accedere all’insegnamento un percorso ad ostacoli fatto da: una selezione in ingresso alla scuola di specializzazione per la formazione iniziale, una selezione in uscita con l’esame abilitante, il tirocinio con annessa selezione — e siamo già a sei anni di formazione — e alla fine affidarsi a un concorso statale, centralizzato, costoso, lungo e inefficiente. E poi, solo chi supera questo concorso può essere inserito negli albi per poi ricevere proposte di incarico dalle scuole? Secondo me è un vicolo cieco.
Quindi?
Renzi dovrebbe essere coerente con la scelta fatta, e quella degli albi territoriali è senza dubbio la migliore. Assolta la formazione iniziale e l’abilitazione, si rimandi alle reti di scuole attraverso la forma del concorso di rete per la chiamata diretta dei docenti. Che fanno gli anni di prova e di valutazione nelle scuole, dopo tre anni diventano di ruolo e dopo tre anni possono o rimanere nella scuola dove hanno lavorato, o fare domanda di trasferimento presso altre reti o Regioni.
Nel ddl il dirigente scolastico ha indubbiamente più poteri, ma il ruolo che gli è attribuito è compatibile con gli organismi collegiali che conosciamo?
Sicuramente no, e infatti all’articolo 21 il governo chiede una delega per riformare gli organi collegiali. Quella delega è amplissima, ma tutto dipende dai princìpi e dai criteri della delega, che mi aspetto che il parlamento arricchisca. Serve una rivisitazione degli organi collegiali intesi come organi di governo. Staremo a vedere.
Le insiste molto sulle reti di scuole, perché?
Ma perché le reti di scuole sono già una realtà, il sistema ne tiene conto per molti aspetti importanti, dalla valutazione all’alternanza scuola-lavoro, ai rapporti con le imprese, all’assegnazione dei docenti fatta dagli Usr. Demandare in toto gestione e reclutamento del personale e parte budgetaria al singolo istituto è molto meno efficace ed efficiente.
E per quanto riguarda la carriera dei docenti?
Che sia il dirigente a premiare i docenti è un fatto assolutamente positivo. Non possiamo però pensare di valorizzare la professionalità docente attraverso qualche incentivo annuale o triennale assegnato all’interno dell’istituto. Anche io avevo mantenuto l’anzianità, ma accanto c’era lo sviluppo di carriera: le tre figure di docente — ordinario, esperto e senior — avevano questo scopo, un riconoscimento giuridico ed economico della professionalità maturata. Di questo non c’è traccia nel ddl di Renzi.
Secondo lei il passaggio in Parlamento potrebbe affondare la riforma?
L’opposizione, quella che va dai sindacati agli esponenti di una certa sinistra conservatrice, è ben rappresentata in Parlamento, ma il governo è forte e se vuole può farcela.
(Federico Ferraù)