Nonostante gli auspici del ministro Giannini, si allungano i tempi del disegno di legge del governo sulla Buona Scuola. Non è ancora chiaro se sarà esaminato prima dal Senato o invece verrà calendarizzato alla Camera. Intanto la sterminata macchina della scuola statale procede con i suoi ritmi, verso la fine dell’anno scolastico. Un vero pachiderma che si pretende di gestire centralmente, ma che i soli dati numerici inducono a pensare il contrario.
Nel 2013 secondo il Conto annuale della Ragioneria generale dello stato il personale a tempo indeterminato era di 880.267 unità, a cui si deve aggiungere il cosiddetto personale precario equivalente a circa 147.596 persone per un totale 1.027.822.
Il dato è comprensivo del personale docente (posti normali e speciali), non docente e di quello dirigente, sia a tempo determinato che indeterminato. Secondo il Miur, gli alunni sono 7.878.661, in leggero aumento (meno del 2% dal 2008) grazie alla presenza degli stranieri, che ha raggiunto la ragguardevole cifre di 736.654.
Ma a parte i dati, come funziona la scuola reale, quella che comincia tutti i giorni alle otto, quella fatta di bambini, genitori, insegnanti, bidelli, amministrativi e dirigenti? Sono molti i docenti che si prodigano e dicono che bisogna conquistarsi gli studenti uno ad uno, che guardano i bimbi come persone bisognose di essere accolte, che sostengono le famiglie nell’immane sforzo educativo. Ma ci sono anche situazioni di fatica. Un dirigente, ad esempio, nel bel mezzo della seduta dello staff della sua scuola, motivando che era impegnato in una riunione del suo Comune, si è alzato e ha salutato, ha lasciando tutti di stucco. Sono poi molti i presidi che occupati in mille faccende, non conoscono nemmeno di striscio i loro alunni. Molto numerosi anche i docenti, che hanno perso la capacità di stare in classe, che non sanno “tenere la disciplina”, oppure al contrario docenti autoritari che spesso inibiscono gli studenti. E’ costato caro a una prof il diniego a una ragazza di recarsi in bagno durante il compito in classe per impedire eventuali aiuti esterni. Ora è sotto processo, visto che l’alunna consegnata la verifica è svenuta e cadendo si è arrecata gravi danni personali. Enrico Galiano, un prof giornalista che scrive sul Messaggero del Veneto, in un bell’articolo ha raccontato alcuni aneddoti significativi della scuola nella sua regione. “Ho sentito insegnanti insultare pesantemente i propri alunni, apostrofandoli con termini come handicappati e idioti. Ho visto una prof continuare a scrivere impassibilmente alla lavagna mentre dietro di lei i suoi alunni stavano passando alle mani. Ho visto una professoressa non riuscire a tenere la propria classe e scappare via, di corsa, bussare a quella accanto implorando aiuto al collega (che ero io)”.
Scene di ordinaria follia, di caos generalizzato di incompetenze professionali e personali diffuse, come quel docente romano che, in 20 anni di malattia psichica, ha affrontato tre ispezioni degli ispettori generali e che nonostante nelle sue classi sia in balia degli alunni, e ogni anno ci siano proteste dei genitori, con i tanti dirigenti che si sono succeduti nelle varie scuole, dove ha prestato servizio, non è mai stato rimosso. Questo docente rimane in cattedra tra sberleffi, cancellini volanti e preparazione disciplinare degli alunni sotto zero, ma anche crescita del senso di impunità.
Galiano racconta anche di uno scrutinio: “Si doveva decidere se promuovere o bocciare un ragazzino di prima media. Si vota per alzata di mano e si è in parità. C’è confusione, però, così chiedo di rivotare, in silenzio. E lì non si è più in parità: una prof aveva cambiato idea tra un voto e l’altro. In realtà non aveva cambiato idea: alla prima votazione non aveva capito di chi si stesse parlando. In prima media: un’età in cui una bocciatura può cambiarti la vita per sempre. Era distratta”.
Ma vige anche il caos organizzativo e la scuola creativa trionfa ovunque. In Liguria, come in molte altre regioni, va di moda la settimana corta alle superiori. Nella provincia di Genova la decisione è stata presa dagli organi provinciali, che hanno chiuso tutte le scuole al sabato per risparmiare sulle bollette e sul riscaldamento. Se nei licei è tutto ok (o quasi) e si va a scuola dalle 8 alle 14, dal lunedì al venerdì, per un totale di 30 ore, il problema sorge nei tecnici dove il monte orario è di 32 ore. Gli istituti fanno i salti mortali per comprimere gli orari previsti dal curriculum, con lezioni fino alle 13,30 (e oltre) e rientri dalle 14 alle 16. Un’organizzazione oraria che non tiene conto dei ragazzi. Chi è infatti quello studente superman che riesce a star seduto tra i banchi e apprendere dopo 5 ore e 4/5 materie differenti, con la fame che annebbia la mente e debilita il fisico? Un istituto superiore lombardo si è inventato una riduzione d’orario di 5 giorni settimanali apparentemente legale (i giorni di lezione sono ora sotto la soglia legale di 200). Come? Ore di 50 minuti e sdoppiamento della classe nell’unico recupero pomeridiano di 100 minuti settimanale. In questo modo c’è chi approfondisce e chi recupera e così sulla carta quel tempo è considerato doppio e la classe recupera solo apparentemente i 200 minuti persi. Insomma tutti contenti con il sabato libero, ma didattica e apprendimento ridotti. E poi il ricorso alligna, visto che un anno scolastico che non dura 200 giorni non ha validità, per cui i bocciati potrebbero vincere la causa contro la scuola.
All’estero le scuole hanno le mense e i ragazzi stanno a scuola di più, con orari certamente più umani, con luoghi per lo studio e per lo sport. Va bene, siamo in Italia, con la maggior parte degli edifici scolastici angusti. Risalgono al secolo scorso, addirittura all’Ottocento, sono pieni di danni per la scarsissima manutenzione, ma almeno non si neghi un tempo scuola più umano agli studenti.
Sulla pagina Facebook del prof Galiano, dopo l’articolo, la ridda delle reazioni di genitori e colleghi. Una sorta di spaccato che potrebbe emergere da una consultazione libera, non quelle ingessate e istituzionali di stampo ministeriale. Ecco alcuni commenti: «Il punto è questo: ci sono in giro molti prof. che non dovrebbero fare i prof». Un giudizio realista, che oltre ai bravissimi docenti, mette in evidenza la scarsa selezione del personale docente. Tra questi quella che precisa: «Io voglio essere controllata. E gentilmente controllino anche quella che semina errori nelle teste degli alunni, quella che scrive al cellulare durante la lezione, quella che li molla lì e va a bersi il caffè. Quella la pagano come me…», oppure «il problema secondo me è che non esiste un sistema — oggettivo, efficiente e condiviso — di monitoraggio e valutazione professionale, che consenta a chi è motivato, preparato e capace, di poter crescere professionalmente e continuare il buon lavoro. E che obblighi chi non è motivato, né preparato, né in grado di essere efficiente e di migliorare, a cambiare impiego. Come avviene invece in quasi tutti i settori». E infine l’evidenza più palese: «Contesto il fatto di non sentirsi giudicati e controllati, perché in realtà si è controllati e giudicati ogni istante dai propri alunni, oltre che dai loro genitori».
Intanto prende forma la buona scuola di Renzi, il dirigente avrà anche poteri più ampi, l’organico funzionale darà un po’ di respiro alle scuole, saranno assunti 100mila precari. Si riuscirà a cambiare passo? Non c’è bisogno di “ben altro”, c’è solo bisogno di qualcuno che guardi alla scuola vera.