La Fondazione San Benedetto è nata a Brescia dieci anni fa con lo scopo di far fronte all’emergenza educativa della nostra società, prendendo ispirazione dall’opera millenaria di San Benedetto da Norcia. All’interno delle attività proposte, la Scuola San Benedetto (scuola di formazione permanente della Fondazione) si prefigge di approfondire e sviluppare il tema della sussidiarietà, nelle sue declinazioni culturali e politiche. A questo proposito, oggi — 26 marzo 2015 — alle 20.45, presso il Centro Pastorale Paolo VI in via Gezio Calini 30 a Brescia, la San Benedetto ha organizzato un “Dialogo con la città” che avrà per tema “Il lavoro ritrovato”.
I relatori chiamati a intervenire e moderati da Marco Nicolai (direttore scientifico della Scuola) saranno: Daniele Nembrini (Founder Fondazione Ikaros), gli imprenditori Marco Bonometti (presidente Associazione Industriale Brescia) e Pierino Persico (presidente Persico Spa) e il giornalista Oscar Giannino. In preparazione all’incontro abbiamo rivolto alcune domande a Daniele Nembrini.
Fondazione Ikaros è un’impresa sociale che ha lo scopo di offrire ai giovani un’opportunità lavorativa al termine di un percorso di scuola superiore. Accoglie circa 1500 ragazzi dai 14 ai 19 anni che scelgono un indirizzo di studio direttamente collegato al mondo del lavoro ed è presente con tre sedi in Regione Lombardia. Daniele, raccontaci in breve perché hai deciso di svolgere questa attività.
A 32 anni mi trovai a scegliere se continuare una brillante carriera nel marketing bancario o accettare la proposta di farmi carico di un piccolo centro di formazione professionale in crisi dal punto di vista gestionale ma soprattutto ideale, venendo meno la presenza delle religiose che l’avevano fondato. Nella richiesta di suor Emanuela intravidi la strada per una maggiore realizzazione di me stesso, la possibilità di mettermi alla prova come educatore e come imprenditore sociale. Un secondo fatto decisivo — presa in mano la situazione, veramente critica, tutto sembrava suggerire di lasciar perdere — fu la sfida lanciatami da un amico: “Nel merito vedi tu, perché tanto per sbagliare in due puoi sbagliare anche da solo, ma, vista tutta la portata delle tue domande, ricordati che la novità nella vita non si introduce dal cambiamento ma dall’accadimento; se accade qualcosa, lì si introduce un cambiamento”. Con questa ipotesi, di cui in principio non avevo compreso tutta la profondità, ho iniziato l’avventura Ikaros. Per questo il motto della Fondazione è “Un’avventura per sé”.
Se un giovane oggi ti rivolgesse questa domanda: “E’ per me opportuno orientarmi a scegliere un lavoro che mi piace e mi appassiona, oppure un lavoro che offre qualche garanzia in più e che mi fa guadagnare più soldi?”, quale sarebbe la tua risposta?
Credo che quanto ho appena raccontato offra qualche spunto di risposta. Uno fra tutti, l’evidenza di quella dimensione libera, irriducibilmente personale, che si esprime nel desiderio di intraprendere un percorso formativo o lavorativo piuttosto che un altro. Questa dimensione va riconosciuta, salvaguarda, sostenuta e accompagnata affinché un giovane possa approcciare la scuola e il mondo del lavoro senza rinunciare ai propri desideri ma facendo fino in fondo i conti con le condizioni date, e quindi essendo pronto a fare un percorso di approssimazione fino a trovare il lavoro più confacente a sé, magari lontano da casa o all’estero. L’orientamento dei ragazzi è in effetti un aspetto molto delicato della nostra attività: è aiutarli a scoprire e valorizzare i propri talenti e individuare quali sono le opportunità percorribili a livello formativo e professionale.
Il 95% dei nostri allievi provengono dalla scuola media e, a quell’età, non tutti sono pronti a scegliere il mestiere della vita; non è raro che uno di loro si iscriva a un corso e dopo un certo tempo, praticandolo, scopra di essere portato per altro, perciò soprattutto nei primi due anni siamo attentissimi a intercettare questi casi e ri-orientarli verso percorsi più adatti a loro. Ma un buon orientamento è solo il primo passo di un progetto formativo che integra l’accompagnamento al lavoro, il cui scopo è collocare, come è nel nostro modello di formazione professionale e istruzione terziaria. In questo senso, la caratteristica principale del nostro metodo di intervento è la costruzione dei percorsi formativi in collaborazione con le aziende, proprio perché essi rispondano effettivamente ai bisogni del mondo del lavoro. Diversamente resterebbero privi di sbocchi professionali, e quindi inutili per i ragazzi e inutili per le aziende.
Qualora ti trovassi di fronte ad un genitore che intendesse indirizzare il proprio figlio alla costruzione di una competenza professionale più che al soddisfacimento di un’attitudine naturale, che cosa gli consiglieresti?
Alla giusta preoccupazione dei genitori rispetto al futuro dei figli noi rispondiamo condividendo con loro obiettivi, principi e metodi propri del nostro progetto educativo che, come ho cercato di spiegare, punta a valorizzare i desideri e i talenti di ciascuno e realizzarli attraverso l’apprendimento di mestieri che diano accesso al mondo lavorativo. Le famiglie sono per noi un partner fondamentale, senza di loro non potremmo realizzare progetti innovativi come quello, realizzato nel 2011, di dotare in blocco tutti gli studenti e i docenti di iPad, o l’iniziativa in corso di trasferire all’estero per quattro mesi una classe di studenti di informatica del quarto anno, con l’obiettivo di inserire nel loro curriculum una importante esperienza internazionale.
Che esigenze hanno e cosa chiedono oggi le aziende e gli imprenditori al sistema formativo del nostro Paese?
Dopo un lungo periodo di allontanamento forzato del mondo dell’istruzione dal mondo del lavoro, in cui ha giocato un pregiudizio negativo nei confronti delle imprese, un misconoscimento del loro valore sociale, oggi le aziende chiedono giovani formati per rispondere ai bisogni di un sistema produttivo in continuo cambiamento, persone dotate di competenze tecniche e competenze trasversali, soprattutto persone strutturate, consapevoli di sé, capaci di interagire positivamente con l’ambiente lavorativo apportandovi nuove energie e nuove idee.
Nel tuo ruolo di formatore ed educatore come valuti i giovani che incontri quotidianamente? Qual è il loro naturale atteggiamento rispetto alle attuali condizioni del mondo del lavoro?
Io credo che il disagio dei giovani rispetto al mondo del lavoro sia dovuto in prima istanza a un deficit di ragioni e solo secondariamente alla difficoltà di accedervi. Sono tanti i giovani che non trovano lavoro, ma sono molti di più quelli che non hanno un motivo per cercarlo! Non mi spiego altrimenti la differenza tra l’atteggiamento di disimpegno di un altissimo numero di giovani nei confronti dello studio e del lavoro (il Rapporto Istat 2015 “Noi Italia” parla di 2,4 milioni di Neet nel nostro Paese), e la mossa positiva di tanti ragazzi e ragazze che non rinunciano a cercare e cogliere tutte le opportunità per crescere.
Come adulto mi sento molto sfidato da questa situazione, avverto tutta la responsabilità di aiutare i giovani in difficoltà a trovare lavoro, ma prima ancora a ritrovare se stessi, a scoprire un interesse vero.
La recente riforma del lavoro accende i riflettori sulla necessità che il sistema del collocamento italiano si modernizzi e sia reso più flessibile per favorire il transito da un’occupazione all’altra. Inoltre fa emergere nuovamente la necessità di una formazione permanente del lavoratore. Che cosa pensi al riguardo?
Nelle classifiche Ocse siamo agli ultimissimi posti per la competenza alfabetica e numerica nella popolazione tra i 16 e i 65 anni, così come per la percentuale di persone tra i 25 e i 64 anni che partecipano ad attività formative formali o non informali (una su quattro). Si capisce ancora di più l’urgenza di un collegamento a doppio senso tra scuola e lavoro — l’alternanza di cui tanto si parla — per migliorare le competenze di giovani e adulti.
Nella tua realtà hai una struttura che si occupa specificamente della ricollocazione dei lavoratori senior. Come rispondete concretamente alle esigenze di chi, “Nel mezzo del cammin” della vita lavorativa, si trovi licenziato o comunque senza lavoro e disponga di competenze professionali obsolete o poco qualificate?
Anche il lavoratore senior è prima di tutto una persona, e come tale va incontrato, guardato in faccia e quindi accompagnato in un progetto personalizzato che porti nel più breve tempo possibile ad un inserimento lavorativo. Per questo stiamo riorganizzando la nostra agenzia del lavoro con l’introduzione di nuovi strumenti che aiutino il disoccupato a sviluppare un atteggiamento pro-attivo che facilita il contatto e la relazione con l’azienda. L’erogazione dei servizi al lavoro (accoglienza, bilancio di competenze, piano formativo di riqualificazione…) deve tenere presente la persona (con tutta la sua storia, le sue capacità, la sua esperienza) e insieme condividere un percorso di accompagnamento/riqualificazione dove il protagonista non è l’ente ma chi viene accompagnato, affinché possa riappropriarsi del proprio percorso lavorativo.
(Luca Amarelli)