“Il lavoro ritrovato”, declinato nei suoi aspetti educativi, è stato al centro della serata organizzata giovedì 26 marzo dalla Scuola San Benedetto, nell’ambito della rassegna di incontri con la città. Se in Italia la disoccupazione giovanile supera il 40% è perché le realtà preposte all’educazione non sono in grado di rispondere alle esigenze del mercato. Circa il 47% degli imprenditori dichiara di non trovare nei ragazzi le competenze richieste. E’ questa la premessa di Marco Nicolai, vicepresidente della Fondazione San Benedetto, che ha introdotto l’incontro: “La formazione umana e le competenze cognitive e tecniche, propedeutiche al lavoro, non sono soggette a scissione”. Un’antinomia che è frutto di un’errata concezione del compito educativo, viziato, spesso, da blocchi ideologici: “Rispetto alla scuola e all’educazione — sono sempre parole di Nicolai — sussiste un’interpretazione Stato-centrica per non dire statalista del lavoro che frustra la libertà delle scelte formative e didattiche”.   



Da qui l’esigenza di valorizzare le esperienze che dal basso hanno intrapreso una strada innovativa rispetto all’istruzione pubblica, come nel caso di Daniele Nembrini, founder della Fondazione Ikaros, che in tempi non sospetti decise di riscoprire, attraverso un Centro di formazione professionale, il valore della tecnica, la bellezza di accompagnare lo studente verso un mestiere. Nel corso degli anni, a causa delle riforme scolastiche che si sono succedute, gli istituti hanno perso il loro ruolo guida, la funzione del “coniugare il sapere con il fare”, come ha sottolineato Nembrini, che in Lombardia gestisce cinque sedi dedicate all’istruzione tecnica superiore. Non usa giri di parole, Nembrini, per descrivere l’approccio educativo messo in atto: “Il nostro percorso formativo parte dalle esigenze delle aziende”. 



Ma Ikaros si è spinta oltre. Nonostante la burocrazia elefantiaca e l’accusa di sfruttamento sempre dietro l’angolo, retaggio di un sindacalismo che continua a porre freni allo sviluppo, Nembrini ha reso possibile il confronto diretto fra studenti e imprese: “Andiamo a studiare in azienda. Tre anni fa la Regione ha normato questo aspetto, permettendo agli studenti di effettuare le ore di laboratorio all’interno delle aziende”. Impresa, informatica e inglese sono le tre “i” sulle quali si poggia il modello educativo proposto dalla Fondazione Ikaros, che ricalca le berufsschulen tedesche e, in parte, le corporate university statunitensi. Realtà, quest’ultime, lontane anni luce dal panorama didattico della pubblica istruzione italiana.



Della necessità di creare un ponte fra imprese e scuola — soprattutto a fronte dell’attuale congiuntura internazionale — ha parlato anche Marco Bonometti, presidente di Aib, che ha sottolineato un dato apparentemente semplice, ma fondamentale per comprendere l’attuale stato occupazionale: “Senza crescita non c’è lavoro, dobbiamo ridare fiducia ai giovani, obiettivi ai quali tendere”.

Secondo Bonometti, che è intervenuto in qualità di presidente dell’Aib, ma anche in veste di titolare delle Officine meccaniche rezzatesi, il rilancio non può che passare dal settore manifatturiero, fiore all’occhiello dell’economia bresciana e nazionale: “La nostra tradizione industriale — ha affermato Bonometti — fatta di sacrificio e lavoro, oggi, nonostante il perdurare della crisi, continua a dare i suoi frutti”. Non c’è crescita senza investimenti, una lezione, questa, che gli imprenditori della Leonessa hanno compreso. Dati alla mano: “Le imprese bresciane stanno investendo più di 500 milioni di euro. Stando a un recente studio — ha rimarcato Bonometti — entro il 2020 l’industria bresciana investirà 2 miliardi e 800 milioni, questo vuol dire che gli imprenditori credono ancora nel futuro dell’impresa”. Dati confortanti, questi, che riguardano, oltre alle multinazionali, anche le imprese a conduzione familiare: “Guardando i bilanci del 2013 è aumentata molto la patrimonializzazione, gli imprenditori hanno messo i soldi nelle loro imprese, un fenomeno che non si registrava da tempo”.

La globalizzazione ha imposto ritmi frenetici, ma questo non significa che le aziende italiane non possano reggere la sfida lanciata dai mercati: “Il mondo è cambiato — ha detto Bonometti — dobbiamo cambiare anche noi, ma questo i sindacati non l’hanno capito”. Una presa di coscienza, un’assunzione di responsabilità, che però coinvolge inevitabilmente anche la politica, sebbene Bonometti riconosca che il Jobs Act abbia introdotto novità positive. L’ammonimento: “Oggi ci sono le condizioni ottimali per sfondare nei mercati, non facciamoci del male…”.

In conclusione. Dopo le raccomandazioni alla classe dirigente, Bonometti ha chiamato in causa il mondo accademico: “La fabbrica non è quell’ambiente malsano tratteggiato da taluni professori trinariciuti”. Il pessimismo asfissiante che aleggia in Italia non aiuta, così come non aiuta l’eterno piangersi addosso. Ne è convinto Bonometti: “Chi si laurea in ingegneria in Italia è più competente di chi si laurea in altri Paesi, così anche i nostri operai che, quando li porti in giro per il mondo, sono un esempio, un’eccellenza, quindi piantiamola con queste continue riforme”.  Va tutto bene? Non proprio: “Bisogna rimboccarsi le maniche” ha chiosato il presidente di Aib. Anche in ambito educativo c’è la necessità di un maggiore sforzo: “Bisogna diffondere nelle scuole la cultura d’impresa, la cultura della competizione d’impresa”.

Da Brescia alle colline orobiche, per le aziende, dell’automotive e non solo, le opportunità sono tante, basta saperle cogliere, come testimonia il racconto del successo imprenditoriale e familiare di Pierino Persico, presidente della Persico Spa. Dal “sottoscala” alla Mercedes, fino a Luna Rossa: è questa la parabola dell’uomo che, grazie alla tenacia e alla fiducia nei propri operai, ha saputo raggiungere risultati di rilievo: “Ho un’azienda di tecnici appassionati al loro lavoro — ha commentato Persico — grazie a loro posso andare avanti”. Maestranze competenti, ma non solo, Persico è infatti uno dei pochi imprenditori che hanno saputo rinnovarsi, cambiare, stando al passo con i mutamenti del mercato: “Io non ho mai finito di imparare” ha affermato l’imprenditore. 

Rispetto al passato Persico ha sottolineato la facilità con la quale si poteva accedere al lavoro attraverso l’apprendistato che, rispetto a oggi, “alle aziende costava meno e non prevedeva il carico burocratico odierno. Durante le vacanze, per 25 anni — sono sempre parole di Persico — ho assunto nei mesi estivi i figli dei miei dipendenti”. Oggi un approccio di questo tipo al mondo del lavoro è impossibile da concepire e anche l’apprendistato, nonostante gli sgravi introdotti, per molti giovani resta ancora una chimera. Nasce quindi l’esigenza di un colpo di reni da parte della totalità, nessuna categoria esclusa, della popolazione: “Se in Italia — ha affermato Persico — pedaliamo tutti con affiatamento possiamo farcela”.

La conclusione della serata non poteva che essere affidata a una voce critica, quella del giornalista di Radio 24 Oscar Giannino: “In questo Paese i politici non hanno imparato a capire le vocazioni, i radicamenti territoriali, le specializzazioni. Bisogna saper rispondere alle richieste del mercato e, nonostante tutto, noi continuiamo ad avere le capacità per farlo”. Specializzazioni e radicamento sono questioni note agli imprenditori, per necessità, ma anche per passione: “I politici non le conoscono — ha sottolineato Giannino — perché nella sfera pubblica non c’è passione”. All’assenza di “passione”, da parte dello Stato, si affianca l’incapacità del pubblico di porsi come intermediario fra la domanda e l’offerta di lavoro. In Germania il 70% della formazione tecnica è fatta con le imprese: “Il pubblico si limita a gestire l’accreditamento dei soggetti, ma accetta l’idea che le grandi agenzie private di intermediazione del lavoro siano a pari titolo. Le agenzie si giudicano a seconda del miglior risultato, da qui l’accreditamento pubblico, o meno, per l’anno o il biennio successivo” ha ricordato Giannino. Se anche in Italia fosse attuata tale politica si otterrebbe “una straordinaria efficacia nell’intermediazione fra domanda e offerta”. Sul fronte della formazione l’opinione di Giannino è chiara: “L’idea che deve prevalere è la costruzione di un percorso costruito insieme alle imprese, consentendo a quelle che ci credono di investire”. 

In Germania il sistema è questo, ma in Italia gli studenti devono affrontare tutt’altra realtà. I ragazzi devono quindi rassegnarsi a tale stato di cose? “Al declino non bisogna arrendersi” ha affermato il giornalista. Un invito che Brescia, terra del Beato Giuseppe Tovini, non farà cadere nel vuoto, soprattutto perché in gioco c’è il futuro, non solo educativo, dei suoi giovani.