Io sono una inguaribile ottimista. Penso che ci siano le forze in questo Paese, per cambiare il corso della storia. Per poter pensare di vivere in un mondo migliore, dove non contano davvero il colore della pelle, le religioni, le convinzioni. Ma contano solo gli uomini e le donne. Conta soltanto la voglia di starsi ad ascoltare per capire chi ha l’idea migliore. O se l’insieme delle nostre idee può farci fare un passo che da soli non riusciamo a compiere. Dove il dialogo interculturale non è un progetto per il futuro, ma il cammino di ogni giorno. Certo, poi, la cronaca, gli eventi, le persone inette cercano sempre di oscurare questo mio entusiasmo e riportarmi con i piedi per terra. Ma ci sono i ragazzi. E la loro energia senza fine. I loro sogni, speranze, visioni.



E allora l’energia riparte e con essa la certezza che un domani migliore è possibile e che è più vicino di quanto si possa pensare. E’ quello che mi è accaduto l’altro giorno quando mia sorella, che fa con grande passione l’insegnante alle scuole medie, mi dice: “Posso farti leggere il tema che ha scritto una delle mie alunne? Ho chiesto di immaginare di essere Iqbal Masih (il bimbo pakistano divenuto simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei bambini, nda) e di dover parlare della piaga del lavoro minorile e dell’infanzia negata alla TV”. Le ho detto subito: “Mandamelo”. Adesso vorrei leggerlo con voi.



“Ho sentito il profumo dell’aria, del vento, dell’erba. Ho sentito il fruscio delle foglie. Ho sentito il sole che inondava e dipingeva tutto il paesaggio che mi circondava. Ho avvertito di essere libero. Finalmente. Felice di poter giocare, ridere e perdermi a guardare la profondità del cielo. Ogni volta che faccio volare un aquilone, mi ricorda quanto mi sia costata la libertà e di quanto sia bella e appagante. Ogni uomo, donna, bambino o bambina dovrebbe provare questa sensazione: essere liberi significa essere in pace col mondo e padroni di se stessi. Non apparteniamo a nessuno, nessuno ci può comandare di dover lavorare come schiavi. La legge lo proibisce e le leggi vanno rispettate, sempre. Una società senza regole è una canzone senza ritmo. Non ha senso, scopo, direzione. A volte mi sembra che tutto il mondo stia viaggiando su un aereo. Libertà, uguaglianza e pace sono per viaggiatori in prima classe. Questi sono diritti e i diritti sono per tutti: non si risolvono i problemi dei paesi poveri facendo lavorare i bambini e neanche combattendo guerre. Si risolvono parlando, rafforzandoci e coalizzandoci contro i problemi. Ghandi ha ottenuto l’indipendenza dell’India senza le armi, Martin Luther King ha protestato pacificamente per porre fine alle discriminazioni e io oggi voglio lottare contro la piaga del lavoro minorile, seguendo l’esempio di uomini e donne assetati di giustizia. 



Pochi anni fa ero schiavo di un profittatore e non ho paura di pronunciare il suo nome. Eshan Khan. Ci faceva lavorare dalla mattina alla sera, con una pausa per il pranzo e una per la cena, chi non obbediva era mandato in un luogo sotterraneo. Lì tutto era buio, umido e pullulante di scorpioni e, non a caso, era chiamato “tomba”. I meno abili a tessere i tappeti erano legati con pesanti catene al telaio. Impugnavamo coltelli per tagliare i fili, quando avremmo dovuto impugnare fili per guidare aquiloni, eravamo legati per non poter scappare, quando avremmo dovuto correre per non farci acchiappare giocando a “ce l’hai”, eravamo puniti, messi nella “tomba” e nascosti dal sole e dal suo calore, quando avremmo dovuto nasconderci da chi doveva contare a nascondino. Non si può condensare il dolore in poche parole, ma vi assicuro che, essere bambini e non potersi comportare da bambini, è lancinante. Vi chiedo di lottare, lottate! Lottate per chi è piegato a lavorare mattoni, lottate per chi incolla scarpe e ha le mani ormai deformate, lottate per chi cuce i tappeti, per chi “porta in tavola” il grano e per chi “vi veste”: fate in modo che sia un bambino. Libertà, pace, uguaglianza sono, in analisi grammaticale nomi astratti… Non lo devono essere, devono diventare concreti nella vita di tutti i giorni, qui, ora e sempre. Per Maria, per Fatima, per Karim e Raju e per gli altri 168 milioni di bambini che oggi lavorano. Si parla di bambini di quattro o al massimo dodici anni. Ciò che ognuno dovrebbe impugnare sono penna e libro, eppure tengono in mano diserbanti, falci, coltelli, mattoni, ceste pesantissime e ancor peggio mitragliatrici. Fatelo per loro, vi prego. Dite no a oggetti prodotti da bambini, aiutatemi, aiutateci a dare ai vostri bambini un mondo migliore di quello dove i loro coetanei indossano esplosivo e si lasciano saltare in aria in piazze, quartieri e scuole. Mi ricordo che quando sono scappato, mi sono perso nell’azzurro terso del cielo, nel trambusto della città e nel profumo dei fiori. Non avevo mai “toccato” la libertà e bisogna lottare per ottenerla, per aiutare uomini, donne, bambini o bambine che hanno vissuto quello che ho passato io. Bisogna vivere per considerarsi vivi e non ci si può ritenere tali se siamo costretti a lavorare tutto il giorno, tutti i giorni. I bambini dovrebbero andare a scuola per porre fine a quel circolo vizioso di povertà. Se un bambino studia, ha un lavoro migliore, è più ricco e dà la possibilità ai propri figli di studiare ed essere bambini. Se invece, non si riceve un’istruzione, sarà più facile essere manipolati e compiere lavori umili. E da lì dista poco la necessità di vendere i propri bambini. Si scava così una fossa sempre più profonda ma, da questa fossa tutti dovranno uscire un giorno. Questa non è un’utopia, lo possiamo realizzare insieme!”.

Sette mesi fa ero a Bali, in Indonesia, per il convegno mondiale dell’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite. Gaia avrebbe potuto salire sul palco a rappresentare il nostro Paese. E sono sicuro che le migliaia di delegati, provenienti da tutto il mondo, si sarebbero alzate in piedi per applaudire il suo discorso. Grazie Gaia V. Non smettere di sognare e di far sognare noi.