Un’attesa fiduciosa: questo ha mosso in questo mesi docenti, presidi, associazioni, educatori, esperti, giornalisti a buttare il cuore oltre l’ostacolo di un certo iniziale scetticismo per credere nella “più grande consultazione” — come Renzi l’ha definita — attorno al rapporto La Buona Scuola. Facciamo crescere il Paese, creando dibattiti, riunioni, convegni ed inviando, singolarmente o insieme, contributi e suggerimenti che, si credeva, il decisore politico sapesse trasformare in iniziativa per il bene della scuola italiana.



Questa è l’attesa che, ieri, è stata delusa, anzi imbrogliata da una improvvisa, ed improvvida, virata di bordo del Consiglio dei ministri e poche ore dopo goffamente interpretata in una conferenza stampa-video che potrebbe sembrare uno scherzo di cattivo gusto, se la faccia dell’attore non fosse proprio quella del presidente del Consiglio di un Governo in carica ad annunciare sorridente che “il Cdm oggi ha cominciato a discutere e chiuderà la settimana prossima un disegno di legge molto serio”. Altro giro, altra corsa! Una boutade gagliarda, che ferisce ed umilia proprio quel popolo di circa un milione di italiani che varcano, da studenti o da insegnanti, quel luogo prezioso che è la scuola; che bistratta quei 148mila (o 180mila?) cosiddetti precari ancora una volta non considerati nel loro legittimo desiderio di essere presi sul serio. Incredibile.



Tuttavia c’è da ringraziare che, almeno questa volta, un decreto legge non sia stato approvato: non solo perché non vi era il carattere di urgenza (almeno in questo il Governo è improvvisamente rinsavito), ma soprattutto perché le (poche) notizie trapelate sul contenuto della bozza di decreto lasciavano intendere un testo concepito secondo una logica centralistico-burocratica, con poco spazio all’autonomia, poche righe (e pochi riconoscimenti economici) alla parità, creazione di nuovi moloch burocratico-funzionali ed un ulteriore aumento di discipline insegnate in tutti gli ordini di scuola. 



Un testo nato vecchio, un ritorno al passato. 

E poi la scrittura di un meccanismo di assunzioni e di rimborsi economici per i docenti precari che avrebbe innescato inevitabilmente ricorsi, proteste, blocchi, non essendo perfettamente predisposto ed oliato.

Non tutto il male vien per nuocere, dunque?

Forse, occorre ringraziare il manipolo (finalmente coraggioso) di parlamentari firmatari dell’appello a Renzi pubblicato domenica scorsa su Avvenire che chiedevano attenzione alla parità o benedire il timore del premier (come segretario del Pd) di vedere sfaldarsi la fragile unità del partito su una partita così decisiva come la scuola, rischiando di scontentarne le ali interne più diverse ed estreme; oppure occorre riconoscere la sua abile mossa di scaricare sul Parlamento la responsabilità di decisioni che un governo non sa prendere perché non competente e confuso sulla materia (“ci avete detto che vogliamo fare noi” — così si è espresso Renzi nel video di cui sopra giustificando l’idea del ddl — “bene, discutiamone, vi dimostriamo che noi non facciamo decreti legge o provvedimenti di urgenza”) con una capacità di rimpallo che non si era mai vista. 

Il Cdm annunciato per la prossima settimana produrrà quindi solo Linee guida per la scrittura di un disegno di legge che corre il rischio di essere destinato, nonostante “i tempi certi” chiesti da Renzi, a cumularsi con altri migliaia che giacciono in Parlamento? “Meglio pocheti, ma tocheti“, potremmo dire, riferendoci ad eventuali provvedimenti da varare, che — appunto — si spererebbero, invece, pochi, chiari, concreti e utili alla scuola.

Tant’è: ci siamo sbagliati, si ricomincia da capo.

“L’Italia di domani non potrà essere migliore della scuola di oggi” ha detto Renzi poco dopo il Cdm nel video registrato nel suo studio. Ci saremmo accontentati si fosse approvata una semplice proposta per rendere la scuola  di oggi migliore di quella di ieri.