Aria nuova, quella che si respirava al convegno “Scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria: passi condivisi per un cambiamento”, organizzato il 4 marzo alla Camera dall’Inter-gruppo parlamentare per la Sussidiarietà. 

Sulla scia della lettera aperta inviata nei giorni scorsi al presidente del Consiglio da 44 parlamentari, di cui tantissimi di area Pd, è stata ribadita l’idea che “portare avanti la parità scolastica è una svolta culturale per l’Italia. Parità, autonomia e piena libertà di scelta sono i fondamenti per una riforma che garantisca equità sociale e pluralità di esigenze formative”. 



Temi non certo inediti, ma finalmente condivisi da un ampio schieramento trasversale alle diverse aree politiche, che comprende anche una parte significativa di partiti che fino a poco tempo fa, sulla scuola, apparivano ancora legati al giogo di vecchie ideologie. 

Certo, le opposizioni non sono completamente superate (tanto che qualche deputato Pd firmatario —come l’on. Simonetta Malpezzi — è stato oggetto di numerosi insulti), ma la sensazione generale è che qualcosa inizi davvero a cambiare.



Netto, al riguardo, il giudizio di Luigi Berlinguer, padre dellalegge 62/2000 sulla parità: “Ancora moltissimi, troppi, pensano che il problema della scuola sia il rapporto tra pubblico e privato, e l’Italia in questo è totalmente fuori dall’Europa… E’ necessario ripensare il sistema nel suo complesso, nel senso di un ampio pluralismo educativo, facendo conoscere sempre di più quello che accade negli altri paesi dell’Europa e del mondo”.

Ecco perché non è il caso di abbandonare l’ipotesi delle detrazioni, che rappresenterebbero un primo passo per riprendere il cammino di attuazione della legge 62 e sostenere le famiglie nella scelta educativa, venendo incontro particolarmente a quelle che diversamente non avrebbero i mezzi per iscrivere i figli, pur desiderandolo, a una scuola paritaria. Come ha sintetizzato l’on. Vignali, la sfida “è di dare ai poveri le opportunità che oggi hanno i ricchi, nell’interesse dei ragazzi”. Una vera battaglia “di sinistra”, insomma.



Una grande mano in quest’opera, soprattutto per integrare il sostegno economico a favore delle famiglie più indigenti, la possono dare le Regioni, utilizzando lo strumento specifico del diritto allo studio, che è di loro diretta competenza.

Le buone prassi non mancano, come è stato efficacemente illustrato da Emmanuele Bobbio (assessore alla scuola, formazione, ricerca e università della Regione Toscana) e Valentina Aprea (assessore all’istruzione, formazione e lavoro della Regione Lombardia). 

Particolarmente significativo — sebbene di minori dimensioni quantitative rispetto al modello lombardo — è proprio l’esempio della “rossa” Toscana, che ha stanziato una sostanziosa cifra e varato dei buoni scuola a favore delle famiglie che hanno bambini nelle scuole dell’infanzia paritarie private e degli enti locali (3-6 anni). 

Si tratta di 334 scuole dell’infanzia, per un totale di 18mila bambini, per cui sono stati stanziati 2 milioni di euro da utilizzare per il buono scuola. Gli effetti sono assolutamente interessanti, poiché la misura ha permesso di erogare 450 euro in media di buono scuola a 4mila famiglie, a fronte di una retta media mensile di 110 euro. 

Il provvedimento, poi, appare particolarmente attento alle famiglie più bisognose, come si può notare dalla ripartizione in base all’Isee: a) con Isee fino a euro 17.999,99 un contributo fino a un massimo di euro 100,00 mensili per bambino frequentante; b) con Isee da euro 18.000 a euro 23.999,99 un contributo fino a un massimo di euro 50 mensili per bambino frequentante; c) con Isee da euro 24.000 a euro 30.000 un contributo fino a un massimo di euro 30 mensili per bambino frequentante. 

Stato centrale e Regioni, insieme, possono concorrere a far sì che ogni famiglia, anche quella che ha davvero mezzi economici esigui (non gli incapienti che appaiono tali solo perché non dichiarano il reddito…) possa scegliere per i propri figli la scuola che desidera. 

Si tratta di strumenti ancora parziali e migliorabili, che però risultano particolarmente importanti anche per sancire quella svolta culturale di cui c’è massima urgenza; come ha dichiarato Berlinguer a Repubblica lo scorso 3 marzo, “…è davvero arrivato il tempo di chiudere questo conflitto del Novecento: scuole statali contro private. Non esiste, non è più tra noi, ci ha fatto perdere tempo e risorse!”. Speriamo sia la volta buona.