Il piano di assunzione di docenti precari mette mano a un vero ginepraio giuridico. Cerchiamo, per quanto possibile, di fare un po’ di chiarezza, in modo che la selva sia meno oscura.
Il mondo del precariato è stato diviso in due grandi gruppi: le graduatorie a esaurimento e le graduatorie d’istituto. Le prime contengono tutti coloro che erano nelle vecchie graduatorie permanenti, le quali, chiuse e senza nuove immissioni dal 2008, divennero dei contenitori che progressivamente si sarebbero dovuti svuotare. Divise in fasce, in pratica contengono docenti con oltre 20 anni di precariato, ma anche tutti coloro che a vario titolo avevano conseguito l’abilitazione in precedenza.
In molte province e per diverse classi di concorso sono state effettivamente svuotate, ma la situazione è disomogenea, tra regione e regione e tra materia e materia. Sono tra l’altro costituite da docenti assunti per tutto l’anno scolastico, che hanno insegnato per 36 mesi e più e quindi interessati alla sentenza della Corte europea che ha fornito ai giudici italiani gli strumenti per la loro assunzione in via definitiva. Ci sono però anche prof che non insegnano da anni, o non hanno mai insegnato, e addirittura abilitati in classi di concorso che non esistono più.
Dopo il 2008, tutti gli abilitati che non potevano più entrare nelle Gae sono confluiti nella seconda fascia delle graduatorie di istituto assieme agli stessi abilitati delle Gae. Da queste graduatorie i dirigenti traggono persone sia per supplenze brevi, sia per incarichi fino al termine delle lezioni soprattutto dove le Gae sono esaurite. Anche qui sono divisi in fasce, con una pluralità di situazioni e con la III che comprende tutti i giovani laureati i quali non hanno ancora un titolo abilitante.
Il ddl del governo sulla Buona Scuola ha stabilito una linea di demarcazione molto netta: verranno assunti solo i docenti delle Gae, mentre tutti gli altri potranno aspirare al concorso che verrà bandito nel 2016, anche se circa 70mila di questi ultimi hanno già insegnato 36 mesi, sono dotati di abilitazione e perciò avrebbero i titoli all’assunzione.
Come si è arrivati al numero dei 100mila da assumere? Il Miur ha censito i posti a disposizione in base alle risorse disponibili: 18.536 pensionamenti, 8.895 assunzioni nel sostegno previste da un provvedimento dell’ex ministro Carozza, 16.835 posti vacanti a cattedra di 18 ore, 7.623 su spezzoni (un po’ di ore in una scuola un po’ in un’altra), 48.812 per l’organico aggiuntivo definito “funzionale” e messo in comune in una rete di scuole. Il totale fa 100.701, ma attualmente alle Gae sono iscritti 140mila docenti. Gli esclusi, secondo alcune fonti, sarebbero 47.399.
Ecco il motivo per cui si sono cominciati a fare dei distinguo, con notizie sempre più precise su coloro che non arriveranno alla cattedra nell’infornata del 2015. Rimarranno a secco 23mila docenti della scuola dell’infanzia (una graduatoria in forte sovrannumero), circa 7mila maestri della scuola primaria, 5mila della scuola superiore e i altri 5.500 idonei del concorso bandito nel 2012.
La notizia dell’esclusione dei vincitori del concorso 2012 ha fatto molto scalpore in quanto sono gli unici che hanno superato un pubblico concorso e quindi vantano un vero titolo di merito; tanto più che, grazie al DM 356/2014 della Giannini, diversi di loro già quest’anno sono entrati in ruolo. Costoro, assieme agli oltre 10mila che sono entrati in cattedra, hanno superato una durissima selezione, visto che in partenza i candidati erano poco più di 300mila.
In tutta quest’operazione, che ora è nelle mani del Parlamento, c’è però un convitato di pietra: la qualità dell’insegnamento. Alla giungla giuridica creatasi con il precariato storico, di cui nessuno sente la nostalgia, mescolatosi poi con le tantissime nuove leve che aspirano all’insegnamento, si è voluto rispondere solo con un provvedimento ope legis per accontentare soprattutto il mondo sindacale e quello della sinistra statalista. Alla fine tutti contenti, con la stampa progressista a suonare la fanfara, ma a rimetterci sarà solo la scuola italiana e i suoi studenti. Peccato che nessuno abbia il desiderio di controllare la qualità e le attitudini professionali dei nuovi assunti. Una garanzia per chi la scuola la frequenta seduto dietro i banchi e una titolo di merito e di maggiore autorevolezza, per chi sederà alla cattedra.