In che cosa consiste la sfida della valutazione? Perché partire dall’autovalutazione? Perché un  sistema nazionale di valutazione è un’opportunità per le singole scuole, paritarie e statali? 

Circa un mese fa un mio studente, dopo un incontro di presentazione della scuola, mi dice: “noi  siamo ai nostri occhi la cosa più misteriosa al mondo perché, anche fisicamente, non riusciamo a guardarci, abbiamo bisogno di uno specchio per vederci, è molto più facile osservare e giudicare gli altri. Proprio per questo se vogliamo capire chi siamo occorre guardare fuori di noi”. 



Lo scopo del sistema nazionale di valutazione è in sintesi questo: dare alle scuole gli strumenti  perché possano capire meglio i propri punti di forza e di debolezza e riescano ad individuare le strade per migliorare. 

Il rapporto di autovalutazione che tutte le scuole sono chiamate a realizzare entro luglio 2015 è pensato, fin dall’origine, per questo. Lo scopo non è fotografare la scuola in un istante, ma aiutarla a  “guardarsi”, tendendo conto di più dimensioni, in modo prospettico. La prima novità introdotta dal Sistema nazionale di valutazione (Snv) è legata al fatto che si chiede alle scuole di fare questa riflessione partendo da un quadro di riferimento comune e da 49 indicatori che possono aiutare a capire dove si è e dove si potrebbe andare. La seconda novità è che i rapporti verranno pubblicati, in un’ottica di trasparenza e di rendicontazione dei risultati.



Le due domande che sottendono alla costruzione del rapporto di autovalutazione sono: qual è il valore aggiunto che in termini umani, culturali e professionali la nostra scuola sta dando agli studenti che la frequentano? Come possiamo migliorare il nostro modo di lavorare per essere più efficaci? Senza farsi seriamente queste due domande tutto diventa un inutile adempimento burocratico. 

Perché si parte dall’autovalutazione? Lo scopo è che ognuna delle 10.042 scuole italiane, statali e paritarie, si metta in gara con sé stessa per sviluppare tutto il suo potenziale. Gli 8 milioni e mezzo di studenti che le frequentano, infatti, non possono aspettare che arrivino i nuclei di valutazione esterna perché la loro scuola migliori. E nessuna scuola italiana può affermare di non dover migliorare perché ha già sviluppato al meglio tutte le sue potenzialità. Per tutti esiste un margine di miglioramento, su cui puntare. 



La struttura del rapporto di autovalutazione aiuta a muoversi in questa direzione. Ogni rapporto, infatti, deve concludersi con l’indicazione delle priorità che ogni scuola individua rispetto agli esiti degli studenti (non solo i risultati scolastici, ma quelli relativi all’inserimento nel mondo del lavoro e dell’università) e con degli obiettivi di processo scelti in funzione del raggiungimento di quei traguardi. 

Il lavoro che le scuole sono chiamate a fare è molto interessante, chiede di rendere esplicito e fondato, non arbitrario, quello che implicitamente si dovrebbe già fare: guardare indietro,(individuare i punti di forza e di debolezza); guardare avanti (individuare minacce e possibilità); selezionare le priorità strategiche cercando di capire quanto siano interessanti e fattibili, decidere  che obiettivi vale la pena scartare e che obiettivi, invece, vale la pena porsi, anche in termini di processo, per dare più opportunità agli studenti che le frequentano.

I dati che le scuole avranno a disposizione con l’apertura della piattaforma, ad aprile, possono diventare una base essenziale per farsi delle domande e lavorare per obiettivi comuni stabilendo delle priorità.

Solo un esempio legato alla mia esperienza personale. Quattro anni fa arrivano i risultati delle prove  Invalsi del mio liceo. Quelli delle sezioni di linguistico, in matematica, sono sotto la media, mentre quelli dello scientifico sono estremamente positivi. Pongo il problema in collegio dei docenti. “E’ scontato, le ragazze che si iscrivono al linguistico non hanno voglia di studiare la matematica. Per questo vanno male”, è la prima reazione. Inizia una discussione in cui emerge in modo chiaro che  non possiamo essere noi i primi a pensare che ci siano dei ragazzi che possono permettersi di uscire dal liceo senza acquisire alcune competenze essenziali per poter proseguire gli studi. Ci diamo dunque un traguardo preciso: cambiare il modo in cui vengono considerate le materie scientifiche al linguistico. Da quel momento abbiamo fatto delle scelte conseguenti: i coordinatori di classe, i docenti di italiano e di lingue straniere non hanno mai perso l’occasione per sottolineare l’importanza dello studio della matematica, dando la priorità al lavoro svolto in quella disciplina. La responsabile del dipartimento di matematica, la docente con più esperienza, ha accettato di  insegnare in una prima linguistico per provare ad impostare in modo diverso la materia. Abbiamo costruito l’orario per avere delle ore di matematica in parallelo per poter consentire delle lezioni per gruppi di livello, dopo aver fatto delle prove d’ingresso comuni. Abbiamo chiesto ai ragazzi più bravi dello scientifico di fare lezioni di recupero ai compagni del linguistico. In tre anni, a condizioni date, con la stessa tipologia di ragazzi “allergici alla matematica”, abbiamo avuto alcuni esiti positivi: i dati Invalsi sono migliorati ed il clima durante le ore di materie scientifiche non è più lo stesso.

Il rapporto di autovalutazione può aiutare a fare riflessioni come queste su di un set di indicatori molto più ampio. Era quello che avrei voluto avere a disposizione quando nel 2008 abbiamo costruito il bilancio di missione della nostra scuola ed abbiamo “perso” un anno, per reperire delle informazioni che aiutassero a capire, in un paragone, “il valore” del nostro lavoro.

Per questo è prezioso poter accedere ad una piattaforma in cui sono disponibili tanti dati. Siamo all’inizio, e quando dal prossimo anno verranno inseriti anche i risultati dei questionari di percezione studenti, genitori ed insegnanti, il quadro sarà ancora più completo. 

In conclusione penso che la sfida della valutazione vada colta senza titubanza, perché può aiutare a raggiungere una maggior chiarezza sui motivi per cui fa scuola, costringendo dirigenti ed insegnanti ad entrare in merito a scelte, strumenti, metodi. Se questo è vero per le scuole statali, è ancor più vero per le scuole paritarie. Spesso ci si lamenta perché i genitori non capiscono il valore della proposta educativa che le scuole fanno. Ma per quale ragione, in tempi di crisi, le famiglie  dovrebbero pagare una retta quando nella scuola statale, a pochi metri di distanza, non è richiesta alcun tipo di spesa? Non si può dare nulla per scontato. Lo scopo della scuola è la crescita umana, culturale e professionale degli studenti che la frequentano. Chiediamoci quindi: qual è il tratto distintivo in cui lo fa la nostra scuola? Qual è il nostro valore aggiunto? In che modo rispondiamo  ora a quel che i ragazzi chiedono per poter prendere il largo nel mare della propria esistenza? 

In un colloquio con alcuni gestori di scuole paritarie, Julián Carrón (30 settembre 2014) aveva individuato bene la questione: “Noi non possiamo avere venti scopi allo stesso tempo per una scuola. Una scuola paritaria deve trovare una chiarezza nello scopo e negli strumenti per portarlo avanti. Uno può cercare un luogo protettivo perché nella situazione in cui siamo i ragazzi si trovino  meno in difficoltà o siano meno a rischio, questo lo capisco; ma se i ragazzi li isoliamo e allo stesso tempo non li prepariamo per vivere nel reale, non so quanto tempo possiamo tenerli nell’ovile. Le  sfide che dovete affrontare dipendono dalla certezza che avete nella proposta educativa che fate, mostrando ai genitori che essa ha una densità, una capacità di incidere sui ragazzi tale che possano consentirgli di vivere nel reale, nell’ambiente… Se le vostre  scuole, le nostre famiglie, le nostre realtà non sono in grado di generare giovani, che poi saranno adulti, pronti a vivere in questa nuova situazione globale in cui ci troviamo a vivere, io mi domando se stiamo raggiungendo lo scopo… La sfida è generare persone che possano vivere con una consistenza propria in qualsiasi luogo del mondo”.