Sono d’accordo con quanto è stato scritto su questo giornale: il tam tam e l’ampiezza di sigle di sindacati e sindacatini che protestano è il segno che, nella scuola, si sta tentando di cambiare.

Sono in pensione da tre anni e dunque, contrariamente allo stile dei miei vecchi articoli, mi manca il polso interno degli stati d’animo e dei problemi. Non mi mancano però la memoria e qualche dato di esperienza. Le questioni che stanno al centro della proposta governativa e cioè autonomia/organico funzionale, ruolo e poteri del dirigente scolastico e governance sono le stesse che nel gruppo scuola del Pd milanese discutevamo tra il 2008 e il 2010. C’erano docenti navigati, ds di area Pd, qualche consigliere regionale e si osservava che il problema della mancanza di politica scolastica del Pd era il sindacato, nel senso che, sul piano nazionale, la linea la dava la Flc-Cgil e finché non si fosse risolto quel problema il partito non avrebbe fatto politica nella scuola. 



Erano gli anni della Gelmini e si facevano i conti per un verso con i tagli di Tremonti e per l’altro con la scelta del governo di affrontare comunque, sulla secondaria superiore, questioni che erano rimaste congelate nella riforma Moratti (alternanza scuola-lavoro, riordino del sistema, valutazione degli alunni, valutazione delle scuole, disciplina del rapporto di lavoro).



Se si prescinde dalla questione dei tagli (in larga misura imposti dall’approssimarsi della grande crisi da cui forse stiamo uscendo solo ora) le proposte della gestione Gelmini furono scelte in larga misura pragmatiche e la mia scelta fu quella di lavorarci dentro. Mi riferisco in particolare al riordino dell’istruzione tecnica, alla didattica/valutazione per competenze e all’alternanza.

Si trattava (e si tratta ancora oggi) di costruire una leadership educativo-gestionale in grado di far muovere il pachiderma-scuola che, lasciato a se stesso, tende ad adagiarsi nel quieto vivere del “si è sempre fatto così”. Lavoravo su tante e operavo continue piccole forzature che nel ddl del governo trovano ora un maggior fondamento giuridico.



Vedo che in molti forum sui social network si guarda con terrore al tema della triennalità dei contratti e al superamento della distinzione tra organico di diritto e organico di fatto per entrare, finalmente, nella logica dell’organico funzionale. Si ripropone la logica del quieto vivere e del posto per sempre. 

Per i ds è già formalmente acquisito, ma non lo è nella sostanza, il fatto di rimanere in una istituzione scolastica per due trienni. Nel primo fotografi l’esistente ed imposti la costruzione di una squadra e una strategia di cambiamento basato sui piccoli passi. Nel secondo lavori su obiettivi più ambiziosi ora che sono noti i punti di forza e quelli di debolezza e, nel nuovo quadro, si lavora anche alla costruzione di un organico funzionale pieno di persone che sanno fare e credono in quel che fanno. 

Solo in questa ottica è concepibile un terzo mandato, ma poi bisogna cambiare perché, per definizione, il ds è uno che non si deve sedere. Se qualcosa di analogo deve valere per i docenti è bene che negli Usr si cambino le consuetudini nei contratti dei ds.

Il progetto triennale di cui è protagonista il ds, che vedo già oggetto di scambi al ribasso per depotenziarne il significato e fingere di dare più potere ai vecchi organi collegiali, mi pare una buona idea, ma anche una scommessa per via delle mille variabili che rischiano di non farlo funzionare: la inadeguatezza dei due organi che a livello regionale e centrale dovranno vagliarlo, la mancanza di un sistema di orientamento in ingresso efficace che rende aleatorio, di anno in anno, il numero di classi iniziali, la variabilità dell’interpretazione delle norme su mantenimento dell’autonomia e/o accorpamenti, il tema delle reggenze, che vanno assolutamente azzerate e devono rimanere un evento eccezionale e transitorio. 

In proposito vedo un punto di criticità negli istituti di istruzione superiore, insiemi di scuole con finalità disomogenee e spesso con organici tra loro impermeabili. Molto meglio, se si vogliono costruire istituzioni autonome tra i 1.000 e i 2.000 studenti, con dei ds all’altezza del loro ruolo, unificare scuole delle stesso tipo, non necessariamente nello stesso comune, piuttosto che mettere insieme scuole vicine ma eterogenee con collegi docenti che non possono avere una visione prospettica unitaria. Penso agli istituti tecnici tecnologici dove una unica istituzione scolastica potrebbe avere indirizzi diversi nei diversi comuni, senza concorrenze al ribasso, ma puntando alla creazione di poli specialistici ottimali per quanto riguarda la qualità dei docenti e gli investimenti di laboratorio.

Nel periodo 2008/2011 ho lavorato molto sull’alternanza scuola lavoro e sugli aspetti di governance dell’istituzione (comitato tecnico-scientifico) e mi sono fatto qualche idea sul da farsi.

Nel disegno del governo, in termini ordinamentali, l’alternanza diventa una cosa decisamente seria in termini di prescrittività. Ma, affinché ad una teoria seria segua una pratica seria, sono necessarie alcune puntualizzazioni. 1) Eliminare lacci normativi in ordine al monte ore delle diverse discipline. 2) Evitare i progettifici in cui l’alternanza si esaurisce nella compilazione di un sacco di schede che nessuno legge. In alternanza si va dentro a un’impresa e si vive la vita concreta del mondo del lavoro con i suoi tempi e le sue regole e quel che si fa viene valutato e va in pagella. 3) Rendere la partecipazione dei docenti alle attività di alternanza parte integrante del proprio monte ore lavorativo e prevedere (visto che si ha un risparmio) che al posto del lavoro d’aula si possano recuperare risorse per l’apertura della scuola e l’allargamento dell’offerta formativa (vedi organico funzionale). 4) riprendere alcune idee importanti presenti nel Dlgs della riforma Moratti sulla struttura 2+2+1 anziché 2+3. Qualcosa di quelle idee è rimasto nel riordino Gelmini, ma in forma molto attenuata. Bisogna riprendere l’idea che l’anno terminale è quello in cui si tirano le fila, in cui si fanno attività monografiche e di ricerca, in cui l’alternanza gioca un ruolo essenziale per il proprio progetto di vita e per la formazione della personalità.

Un’ultima questione per quanto riguarda la carriera dei docenti. La questioni dei vicari e dei capi dipartimento va affrontata prendendo il toro per le corna. Se si vuole che il ds faccia bene tutto quanto gli è richiesto bisogna fare in modo che, nell’ambito dell’organico funzionale, siano possibili due prospettive di carriera, una sul versante della didattica e l’altra su quello dell’organizzazione. Chi vi accede sa che, in cambio di una significativa riduzione delle ore frontali in classe e di una quota stipendiale da mettere in busta paga e non nello stipendio accessorio, deve mettere a disposizione una quota del suo tempo che va ben al di là delle 18 ore. Sa anche che questo è il modo per proseguire la carriera facendo il ds. 

In quale azienda l’amministratore delegato che sovrintende a 150 laureati non ha uno staff che lavora per far funzionare la struttura? Invece nell’Italia delle tante parole così non è. Non si tratta di mettere sotto tutela il ds, si tratta al contrario di metterlo in condizioni di lavorare.

Altri pensano che la strada sia invece quella di depotenziarlo perché è un nemico potenziale e parlano di collegio docenti come panacea della nuova scuola. I forum in cui si invita alla mobilitazione sono gli stessi in cui si leggono quesiti come: “quante ore può durare il collegio docenti?”; “Se insegno in un’altra scuola quanti collegi docenti posso saltare?”. E non aggiungo altro.