Caro direttore,
ti ringrazio di avermi chiesto un contributo per aiutare i lettori de ilsussidiario.net a capire che cosa sta succedendo alla (e intorno alla) Buona Scuola. Mi dispiace, sai che cerco sempre di rispondere al meglio alle tue richieste, ma questa volta non ce la faccio proprio. Ho cercato, non credere: ho letto comunicati e contro comunicati, ipotesi e smentite, dietrologie e davantologie, critiche ed esaltazioni, e getto la spugna. Non posso aiutare nessuno a capire quel che io stessa non capisco. All’inizio, pareva che sulla scuola si giocasse la reputazione del governo, con Renzi in visita alle scuole del paese, la Giannini che rassicurava le folle sulla tenuta e sulle buone intenzioni del ministero, e la soddisfazione (anche mia, lo confesso, anche mia!) sul fatto che finalmente si fosse capito che l’educazione è la partita su cui si gioca non il futuro del governo, ma quello del paese, e dei singoli cittadini. 



Una volta uscito il documento, con il suo titolo accattivante e la sua grafica di taglio moderno (a dire la verità ricordava un po’ troppo i manifesti sul riciclo comparsi in stazione a Milano, coincidenza che a distanza di mesi si è rivelata più profetica del previsto), si sono comprensibilmente alzate voci e difesa e voci critiche: la mia idea era — e resta — che mancasse una visione lungimirante del sistema scolastico, e che si desse troppo spazio alla questione del reclutamento dei precari, ma è pur vero, mi dicevo, che si tratta di un nodo incancrenito che va sanato, magari non con l’ottimismo un po’ semplicistico del documento, ma insomma, pareva che la prospettiva giustificasse anche alcuni svarioni. L’autonomia reale latitava ancora, i problemi della governance erano sottostimati, quanto alle scuole paritarie pareva di essere in quel quarto canto dell’Inferno in cui Virgilio e Dante si inoltrano conversando di cose di cui il tacere è bello (cercando la citazione, per inciso, ho in visto che pochi versi prima si parla di “bella scola”…).    



La consultazione popolare è stata vastissima, quanto utile non saprei, ma insomma si è creato un interesse diffuso a parlare di questi temi, anche se nel frattempo molte cose cambiavano in corso d’opera, introducendo sia delle migliorie che delle peggiorie, e intanto le voci si trasformavano in grida. Nessuno sembrava aver messo in conto che la scuola è una tipica organizzazione multitasking, in cui gli interessi dei diversi soggetti possono essere in contrasto tra loro: il preside dotato di adeguati poteri di governo è stato visto come un despota sanguinario che avrebbe passato il suo tempo a vessare gli insegnanti della gleba. E pensare che vent’anni di studi dell’organizzazione scolastica mi avevano portato a pensare che una forte governance fosse una condizione necessaria per il buon funzionamento della scuola stessa… Ma è solo un esempio.



Trasformato il decreto in disegno di legge, avevo pensato, santa ingenuità, che questo rinvio potesse quanto meno avere il merito di consentire una riflessione pacata, potenziando gli aspetti positivi e rivedendo quelli negativi, e invece sembra di essere fuori dello stadio prima di un derby. Nei molteplici emendamenti e contro emendamenti, si è persa ogni certezza: deleghe troppo numerose e contraddittorie, silenzi incomprensibili (che ne è del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, ora Cspi, rieletto proprio in questi giorni?), continui cambiamenti di parere su chi e come sarà dietro la cattedra all’inizio di settembre. 

Adesso siamo in presenza di uno sciopero generale (indetto per il giorno in cui sono previste le prove Invalsi, perché la vita è piena di coincidenze!), ma non riesco a trovare nelle dichiarazioni dei promotori, o di nessun altro per dire la verità, alcuna proposta costruttiva, ma molte frasi fatte. Che cosa vogliono le organizzazioni degli insegnanti e chi a loro si è accodato? Che si cancelli qualsiasi tipo di innovazione, tornando alla legge Casati o forse anche alla scuola preunitaria, abolendo l’autonomia, sopprimendo le scuole paritarie, decapitando i presidi, reclutando senza alcun criterio selettivo? E del tanto decantato merito che ne facciamo? 

Scusami il sarcasmo, direttore, forse anche il cattivo gusto, ma sono proprio scossa. Mi sembra di stare in una di quelle orribili separazioni in cui i coniugi usano il figlio come strumento per farsi del male, incuranti del danno che gli procurano. Ma chi sono i coniugi in questo caso? Chi vuole che cosa dalla scuola, che a questo punto faccio fatica a pensare come “buona”? E di fronte a questa noncuranza in cui il bene di tutti viene ignorato in favore (favore? Ma per piacere!) di interessi privatistici, mi vengono in mente le belle cose che molti, insegnanti genitori e studenti, hanno non solo detto ma faticosamente realizzato in tutti questi anni, e che sembrano cancellate da un desiderio di distruzione che non si cimenta con nessuna articolata proposta positiva. 

Ma questa proposta non cercherò di elaborarla. Non io, non ora. Si trova già nel lavoro silenzioso di chi preferisce il fare al parlare, e quindi non ha tempo di elaborare discorsi ad effetto. Non so che cosa succederà il 5 maggio, non so che cosa succederà alla buona scuola, non ho idea della legge che ne uscirà. Dico, sommessamente, a chi si preoccupa del gradimento di una parte, magari cospicua di docenti e dei loro rappresentanti, che forse bisognerebbe pensare seriamente a otto milioni di ragazzi, alle loro famiglie, e ai molti  insegnanti che, come me, non riescono a capire, ma continuano a costruire quel rapporto educativo serio che, nel generale sfascio, mi sembra l’unica cosa che resta, e resterà, in piedi. Nonostante tutto. 

E quindi, caro direttore, scusami, ma per questa volta non saprei davvero che cosa scrivere, anche se resto

Tua affezionata Luisa Ribolzi