Caro direttore,
gira in questi giorni, come una specie di catena di Sant’Antonio tra genitori, un invito via sms a boicottare le prove Invalsi (tenendo a casa i figli) la cui formulazione risale almeno al 2011 (un documento per punti delle “mamme di Caniparola” intervenute “come mamme e come cittadine”; ma con un po’ di pazienza se ne potrebbero rintracciare anche altre paternità). 



Le ragioni del boicottaggio sono del tipo perché, oltre ai test, viene chiesto ai nostri figli di compilare un questionario in cui si chiedono informazioni … sulle risorse disponibili in famiglia (numerosità di libri, disponibilità di un aiuto nei compiti per casa, lingua parlata a casa, ecc.“: ma come sapere altrimenti se una scuola ha buoni risultati solo perché ha tutti figli di papà? (si tratta dei dati necessari per isolare la “variabile” di ciò che fa la scuola rispetto a ciò che proviene dal “livello socioeconomico di partenza”); oppure, “perché le prove non sono anonime: ogni prova è contrassegnata da un codice, che sarà conservato dalla scuola, che identifica l’alunno; tali codici dunque permettono una tracciabilità nel tempo delle prove dei nostri figli“: ma come sapere altrimenti se c’è crescita o no? (si tratta dell'”anagrafe studenti”, necessaria per la “misura del valore aggiunto”, che ha permesso per esempio l’abolizione della prova di I media e il collegamento in verticale fra primaria e secondaria di I grado). E poi si trova la difesa della creatività e della cultura contro le aborrite “crocette” (magari tutti i nostri fossero colti e creativi!), la difesa della diversità di ognuno, irriducibile allo standard omologante (magari tutti in Italia sapessero mettere accenti e apostrofi!), eccetera. 



Avvilisce che le argomentazioni, oltre che stantie e copia-incollabili, siano del tutto sganciate dallo scopo tecnico delle prove e dalla loro utilità sociale. A certi non sembra manifestazione di democrazia puntare a una scuola efficiente, ugualmente formativa in ogni regione, senza discriminazioni fra classi e fra istituti, capace di fare da ascensore sociale. O forse le ragioni delle prove sono fin troppo chiare, solo che l’efficienza richiede contrasto all’anarchia, competenza, responsabilità, cooperazione, e anche presidi equilibrati capaci di far funzionare le cose, tutti elementi impopolari. Allora sarebbe meglio dirlo.



Comunque, a fronte dei “10 anni dell’Invalsi”, in cui l’istituto ha cercato di presentare in pubblico la propria evoluzione dal punto di vista tecnico e organizzativo, con tutto quel che può esservi di incompiuto e di perfettibile, non c’è stata una “10 anni dell’opposizione”, in cui venisse mostrato come gli argomenti contrari si siano affinati entrando nel merito, capendo le ragioni dell’operazione e proponendo magari strumenti diversi ma per risolvere lo stesso problema (cruciale per una nazione). 

I genitori hanno almeno ragione a lamentarsi di non essere informati. I governi che si succedono non fanno molto per far capire agli italiani perché l’Invalsi è necessario, mentre in Europa — la grande madre di tutti i progressi “civili” — si guardano bene dal boicottare le prove (ah, l’Europa! Perché prendiamo sempre e solo quello che ci danneggia e non quello che ci giova?). 

Però qui mi pare facciano una parte un po’ triste: già “sindacalisti dei figli” (e guai al prof che dà una nota al bambino, Antonio Polito docet), in questo caso specifico istigano alla disobbedienza civile, ma senza alternative utili che indichino una prospettiva. Temo molto che i ragazzi così restino coinvolti in vicende che vengono elaborate altrove per finalità forse non tutte filantropiche… 

Domani (oggi, ndr) spero che i miei alunni ci siano, tanto sono tutti bravi e ce la faranno con onore senza che io li abbia nemmeno preparati alla prova: i licei del nord-ovest si sa più o meno quanti “punti” danno alle altre regioni d’Italia.