Con puntualità asburgica quattro ministri — Giannini, Madia, Boschi e Delrio — si sono presentati alle 15 di ieri nella Sala Verde al terzo piano di Palazzo Chigi per l’atteso incontro con le rappresentanze delle associazioni professionali e sindacati della scuola. Onori preventivi alla segretaria Camusso da parte di tutti i ministri, inizialmente un po’ titubanti nello scaldare i motori, quasi a volersi scusare di aver “provocato” lo sciopero della scuola del 5 maggio o forse con l’intento di “studiare” da vicino il nemico.
Introduce Claudio De Vincenti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che fa da moderatore dell’incontro. La parola alla ministra Giannini che sintetizza in 4 punti le innovazioni introdotte dal ddl emendato dalla Commissione cultura. Quattro punti fondamentali su cui si è lavorato: 1. un principio di collegialità che risulta più rafforzato nella governance della singola scuola, vedi la stesura del Pof con cadenza triennale redatto dal collegio docenti su proposta del ds e poi approvato dal consiglio di istituto; un riconoscimento dei docenti meritevoli valutati dal comitato di valutazione che valuterà anche il superamento dell’anno di prova dei docenti; 2. l’introduzione di un organico dell’autonomia con modalità di assunzione tramite ambiti territoriali; 3. la riconsiderazione del concorso costituzionalmente riconosciuto come modalità unica di accesso all’insegnamento ed al ruolo; 4. il riconoscimento del divieto di contrarre contratti superiori a 3 anni a partire dall’anno scolastico 2015/16.
I sindacati non ci stanno e replicano duramente. La Camusso attacca a testa bassa: “Noi siamo sempre stati fautori dell’autonomia, ma senza creare gerarchie all’interno delle scuole: no al potere dei presidi”. E poi chiede scelte “coraggiose”: abolizione totale del precariato, salvaguardia di un modello cooperativo di scuola e non gerarchico con uno che comanda, salvaguardia della libertà di insegnamento, ricentratura del contratto di lavoro del personale della scuola e conseguente sblocco dei contratti pubblici fermi da anni, riduzione delle troppe deleghe che il ddl lascia al Governo.
Poi è stata la volta dei sindacati e delle associazioni scolastiche invitate le cui posizioni sono risultate, come ha detto il ministro Giannini nella replica finale, “convergenti nelle critiche e divergenti nelle ipotesi di soluzione”. La configurazione del ruolo del ds, in particolare, come emerge dal ddl emendato, è stata fortemente criticata dalle rappresentanze sindacali e non solo, paventando rischi di gerarchizzazione della scuola.
L’incontro ha rappresentato un passaggio istituzionale politicamente inevitabile, imposto sia dal prossimo avvio del dibattito in Parlamento, sia dalla necessità di tener conto dell’esito dello sciopero del 5 maggio. I ministri sono apparsi fermi nel non accondiscendere a logiche di contrattazione e di assemblearismo vecchia maniera, modello che i sindacati hanno, neanche velatamente, sottoposto come ipotesi di lavoro ai ministri presenti come modo per “capitalizzare” il successo dello sciopero. Il clima era aperto e cordiale, ma non ha dato adito a cedimenti sui contenuti e sulle tempistiche del dibattito parlamentare. Il governo, in altri termini, va avanti. Vuole risultati ed è determinato a ottenerli.
De Vincenti ha segnato la road map: dalla prossima settimana discussione alla Camera sul testo del ddl emendato; successiva discussione alla Camera con possibilità di nuove emendazioni; votazione alla Camera; discussione al Senato con le annunciate preventive audizioni delle rappresentanze del mondo della scuola alla presenza del ministro Giannini; discussione al Senato ed approvazione.
Nessuno stralcio dal ddl del capitolo assunzioni dei precari: il Governo ritiene che la riforma complessiva della scuola debba tener dentro tutto, e lo ha ribadito durante l’incontro.
Oggi si replica con l’incontro, sempre a Palazzo Chigi, tra governo e associazioni di studenti e famiglie.
A questo punto, per capire come andrà a finire, si tratta solo di vedere e di aspettare.