Di opposizione sindacale Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione, esponente di spicco del Pd ora parlamentare europeo, ne sa qualcosa. “Il ministro della Pubblica Istruzione ha deciso di azzerare le modalità di attuazione in materia di valorizzazione docente”: finiva così, con un laconico comunicato l’11 febbraio 2000, la breve vita del concorsone, il piano per la valutazione di merito degli insegnanti. Si ritrovò tutti i sindacati contro: alcuni sempre e comunque, altri pronti — abilmente — a fiutare il vento. Oggi la situazione è molto simile. “Non c’è un ragionamento sul merito — ha detto ieri il sottosegretario Faraone in un’intervista a Repubblica — i sindacati fanno falli di frustrazione. Scaricano sulla scuola la rabbia accumulata per tutti quei provvedimenti che non sono riusciti a bloccare”.
Berlinguer, forse non hanno digerito la frase della Boschi: “la scuola in mano ai sindacati non può funzionare”. Non è la verità?
La Boschi con quella frase ha esagerato.
Le sa bene, professore, che non è così.
Quello che so lo lasci dire a me. La Boschi è una brava persona ed anche meritevole, ma ha esagerato. Bisogna distinguere, perché una cosa sono i sindacati di categoria, altra cosa sono le confederazioni, che sono il vero sindacato. O meglio, sindacati lo sono entrambi, ma il sindacato confederale non vuole il rinvio della riforma, come invece vogliono i Cobas. Sono due politiche opposte.
Quindi?
Un governo non può non tener conto delle articolazioni che ci sono nei movimenti. Tante di queste forze non sono contro; è così, lo sappiamo. Altra cosa è la difesa corporativa, e ci sono molti esempi di difesa corporativa in Italia, anche nella scuola.
“Anche”, lei dice? Forse vuole dire “soprattutto” nella scuola.
L’alleanza che ha organizzato lo sciopero del 5 maggio è composita, al suo interno ci sono articolazioni che si vedono lontano un miglio, a saperle distinguere. Prenda ad esempio quelli che vogliono la stabilizzazione dei soggetti non abilitati, definiti “abilitandi”. La loro è una richiesta che non può essere accolta, perché i docenti vanno misurati nella loro preparazione, non si può consentire una scuola nella quale sia sufficiente una qualche permanenza per passare in ruolo. C’è una parte fra coloro che hanno manifestato con la quale non si può convenire, ma c’è un’altra parte che a mio avviso è aperta al cambiamento.
Prendiamo i 200 milioni per il merito. Su quello i sindacati non transigono, vogliono essere loro a gestirli.
Il fatto è che non si può pensare di sottrarre ai sindacati la contrattazione collettiva. Ma se i sindacati vedono nella contrattazione una distribuzione di soldi a pioggia, senza merito, io non sono d’accordo.
Ma è proprio questo che chiede la Cgil e non da sola.
Benissimo, e infatti il governo dice no.
Vede allora che dialogare non si può?
Si può, invece. Senza togliere alle Rsu la contrattazione della modalità, la sovranità popolare, che si esprime nel Parlamento, dia l’indicazione politica sui criteri generali. Che nel caso dei fondi per il merito devono essere premiali. Dunque: voi sindacati contrattate pure la parte di salario accessorio, però nel rispetto del principio voluto dal Parlamento. Così il sindacato fa ciò che gli compete, e si dà a Cesare quel che è di Cesare.
Lei ritiene che Renzi sia troppo poco malleabile?
Io credo una cosa: che è inutile impuntarsi, si deve ragionare. Perché le strade ci sono, e molte sono già indicate negli emendamenti approvati dalla Camera. Se il governo non si è opposto a quel che ha fatto il Parlamento, significa che un passo è già stato compiuto, dunque si continui su questa strada, si sfidino i sindacati sulla necessità che la scuola va cambiata dalle fondamenta. Centinaia e centinaia di esperienze educative vanno in questa direzione. Sosteniamo queste scuole.
Quindi secondo lei non c’è il rischio di annacquare l’autonomia già blanda del ddl?
Il rischio c’è, non bisogna correrlo. La strada è quella che le ho indicato, non la rinuncia, non lo scontro frontale, ma la sfida sui contenuti. Diversamente, Renzi otterrà solo il risultato di cementare tutte insieme le forze del 5 maggio. Invece deve dividerle.
Non è troppo ottimista?
Intanto il mondo della scuola deve prendere atto che il testo è già cambiato. Renzi continui a discutere, ma non rompa il filo, perché c’è una parte retriva nella scuola e nel sindacato che vuole far saltare tutto. Al paese non conviene. Gli atteggiamenti di rifiuto, anche intellettualistici, perfezionistici, non colgono il punto politico della situazione e fanno danno.
(Federico Ferraù)