La nuova governance della Buona Scuola? Luci — l’autonomia, il dirigente, la formazione iniziale e l’accesso al ruolo, il premio al merito —; ma anche ombre — la verifica e la selezione del ds e i concorsi vecchio stile. Nel complesso, il ddl contiene passi in avanti molto importanti, dice al sussidiario Elena Ugolini, dirigente dei Licei Malpighi di Bologna, prima commissario dell’Invalsi e poi membro del suo comitato di indirizzo, sottosegretario all’Istruzione con il governo Monti. Il ddl tratta i docenti da professionisti, spiega Ugolini, e crea le condizioni per avviare la valutazione dei presidi; anche se sulla valutazione dei docenti — dice — “avrei seguito un’altra strada”.



L’autonomia, così come viene delineata nel ddl approvato dalla Camera, le pare soddisfacente?
L’autonomia non è uno scopo, è uno strumento. Per questo l’articolo 1 del ddl è importante. Lo scopo della scuola è la crescita umana, culturale e professionale degli studenti che la frequentano e questa prospettiva ricorre in tutto il provvedimento. Dagli anni in cui è stata approvata la legge dell’autonomia dei passi in avanti sono stati fatti, ma è la prima volta che si parla di un organico  dell’autonomia basato su un piano dell’offerta formativa triennale costruito e proposto dalla singola scuola.



Una lunga marcia, quella della progettualità delle scuole. Come ci siamo arrivati?
Quando venne approvato il regolamento di riordino dei licei era stata inserita la possibilità di modificare il piano di studi fino al 30 per cento dell’orario complessivo. Si voleva uscire dalla logica con cui si era arrivati nel corso degli anni 90 alle 800 sperimentazioni di scuola superiore  “concesse” dal ministero. Lo scopo era cambiare prospettiva: lo stato fissa le indicazioni nazionali e i profili in uscita dei sei indirizzi liceali, lasciando alle scuole l’autonomia di curvare la propria  offerta formativa. Mi battei personalmente per fare passare questo comma, un ispettore si oppose con tutte le sue forze dicendo che era una norma che poteva aver senso solo per le paritarie, perché l’organico per le scuole era bloccato e non sarebbe mai stato possibile dar seguito alle richieste delle scuole. Il ddl oggi introduce l’organico dell’autonomia e darà sicuramente più spazio alle singole scuole. 



Sui dirigenti è stata bagarre. La figura iniziale è stata temperata, le sue prerogative rese più collegiali. E’ un bene o un male, in complesso?
La battaglia sui dirigenti è la punta dell’iceberg di una battaglia culturale molto profonda. Non quella tra destra e sinistra, ma tra chi desidera cambiare perché vuole una scuola migliore per i propri figli e chi ha paura di farlo perché è ancorato agli schemi che ci hanno portato a questa situazione.

Dunque?
La scuola è un organismo complesso e come tale non può non avere una guida, dei ruoli, delle funzioni. Il fatto che ci siano dei dirigenti incapaci di svolgere il loro ruolo non è un buon motivo per dire che non è corretto affidare a “chi dirige” una scuola gli strumenti per farlo. 

Il suo è “l’uomo solo al comando”? 

No. I primi a sapere che la scuola non ha bisogno dell'”uomo solo al comando” sono proprio i dirigenti scolastici. Il ddl supera una legislazione che non dava gli strumenti per costruire una struttura organizzativa all’interno della scuola, capace di supportare il suo lavoro formativo. Solo l’autorevolezza di alcuni dirigenti e la presenza di docenti motivati e collaborativi hanno permesso in questi anni di trasformare adempimenti formali in scelte condivise capaci di creare innovazione e spazi di reale collaborazione. La scuola buona non ha bisogno di despoti o di burocrati, ma di leader educativi in grado di valorizzare organizzare e motivare le persone con cui lavorano, per migliorare la proposta didattica ed educativa che viene fatta agli studenti, ogni giorno. 

Tutto a posto quindi?
Non proprio. Come verranno formati e selezionati i dirigenti per verificare sul campo le loro capacità, visto che fino ad ora le immissioni in ruolo sono sempre avvenute per concorsi che provavano solo delle conoscenze senza nessun percorso prevalutativo e che, durante l’anno di prova, i presidi sono stati affiancati da colleghi mentori che ne hanno supportato il lavoro, ma senza vincoli di valutazione specifica né del merito né delle capacità? Questo rimane sicuramente un problema aperto.

Nella filosofia renziana c’era, come sappiamo, una embrionale (e osteggiata) “chiamata diretta” dei docenti. Sappiamo che non è così: la cosa è molto più sfumata. Come giudica questo punto? 
Il ddl prevede che la scelta dei docenti da parte dei presidi avvenga all’ interno di ambiti territoriali in cui confluiranno per il 2015-2016 gli insegnanti del piano straordinario e poi i vincitori dei nuovi concorsi pubblici. I professori potranno inviare la propria candidatura, e il dirigente potrà scegliere tra i candidati anche attraverso lo svolgimento di colloqui. La scelta potrà essere fatta su di una rosa limitata di nomi già selezionati con un concorso pubblico. Gli incarichi conferiti e i curricula dei docenti saranno resi noti sul sito internet della scuola ed il preside “sarà tenuto a dichiarare l’assenza di cause di incompatibilità derivanti da rapporti di parentela o affinità entro il secondo grado con i docenti iscritti nel relativo ambito territoriale”. Non mi sembra proprio che si possa parlare di chiamata diretta di docenti lasciati in mano all’arbitrio di presidi “sceriffo”. Si tratta di un passo in avanti importante, per rompere il meccanismo di graduatorie con il quale in cui si entrava per caso in una scuola dopo anni di attesa, accumulando un punto dopo l’altro.

Di fatto però è ancora un concorso nazionale vecchia maniera ad abilitare i docenti. Questo sistema va d’accordo con il nuovo impianto di scuola prefigurato nel ddl?
Il concorso di 60mila posti che verrà bandito il prossimo anno scolastico seguirà le vecchie regole perché non ci sono i tempi per cambiare. Nel ddl è presente una delega per il “riordino, l’adeguamento, la semplificazione della formazione iniziale e dell’accesso ai ruoli dei docenti”. E’ interessante l’idea di un contratto di apprendistato professionalizzante con cui conseguire un diploma di specializzazione per l’insegnamento: Così si dà la giusta centralità alla scuola nella preparazione dei futuri docenti. 

Mi sembra molto rischiosa, invece, l’idea di un concorso nazionale per accedere ai posti disponibili aperto a tutti i laureati che hanno acquisito un numero minimo di crediti, come dice il testo, in discipline antro-psico-pedagogiche e in metodologie didattiche. Una prospettiva che potrebbe aprire di nuovo la stagione di concorsi aperti a centinaia di migliaia di persone che “provano”, senza nessuna selezione preliminare.

Un’altra cosa che scalda gli animi è il merito dei docenti. Renzi lo vuole, i sindacati no. Su questo il ddl ha imboccato la via giusta?
E’ importante che alle scuole arrivino dei fondi aggiuntivi per valorizzare e premiare i docenti che  svolgono il proprio lavoro con più efficacia ed è importante che sia il dirigente ad assumersi l’onore e l’ onere di questa valutazione. Il fatto che un comitato di valutazione (presieduto dal dirigente) individui i criteri, lasciando al preside questa responsabilità, mi sembra un grande passo in avanti. I sindacati? Naturale che non vogliano vedersi scippare la possibilità di avere voce in capitolo attraverso le Rsu.

Ma cosa valutare di un docente, e come farlo?
Avrei seguito un’altra strada, ma sono convinta che sia importante introdurre un principio essenziale. Sono tre le dimensioni che a mio parere andrebbero valutate in un docente: le capacità didattiche, la capacità di lavorare con i propri colleghi e di contribuire al miglioramento della propria scuola l’attività di aggiornamento e di ricerca didattica. Strumenti che potrebbero essere messi a disposizione delle scuole per poter muoversi in questa direzione, ci sono già.

I 500 euro che Renzi vuol dare ai docenti per formarsi sono una cosa intelligente? O demagogica? Oppure solo un contentino?
Il governo avrebbe potuto mettere tutti i fondi per l’aggiornamento sul piano nazionale di formazione, continuando sulla via intrapresa da sempre; ha deciso, invece, di stanziare 40 milioni per il piano nazionale e 381.137 milioni per finanziare la carta elettronica personale per l’aggiornamento e la formazione del docente. Ma è quest’ultimo a scegliere con chi e come farlo. Mi sembra una grande dimostrazione di fiducia nei confronti di un professionista che dovrebbe sentire l’aggiornamento non come un obbligo, ma come una necessità.

Secondo lei un dirigente non dev’essere anch’egli valutato? Chi dovrebbe farlo? Ma soprattutto, come farlo?
Con questo ddl si creano le condizioni per avviare la valutazione dei presidi. E’ già dal 2000 che i dirigenti scolastici avrebbero dovuto essere valutati rispetto al raggiungimento degli obiettivi fissati  negli incarichi triennali. Peccato che non sia mai stato fatto! Una delle ragioni è stato il ritardo con cui abbiamo messo a punto il sistema di valutazione delle scuole che finalmente ha preso l’avvio,  dopo 14 anni di attesa. Com’era possibile pensare che i direttori degli Usr potessero dare degli incarichi con degli obiettivi specifici ai dirigenti e valutarli, senza saper nulla delle scuole? Un dirigente deve essere essere valutato per il contributo che dà al miglioramento della scuola che dirige. Questo penso debba essere il criterio principe da seguire.