L’articolo di Marco Ricucci apparso sul sussidiario domenica 10 maggio fa riferimento al movimento di protesta di studenti e docenti della Sorbona contro il piano di riforma del ministro francese dell’Istruzione, che vorrebbe ridurre le ore di insegnamento delle materie classiche nelle scuole, e nel contempo ricorda che nella vicina Francia un numero elevato di studenti scelgono il latino e il greco, materie opzionali, mentre in Italia il liceo classico raccoglie un numero d’iscrizioni decrescente da anni a questa parte. L’argomento trattato da Ricucci è attuale e interessante, e vorrei aggiungere alcune riflessioni personali.
1. Un certo revival di materie classiche si nota da qualche tempo a questa parte, non solo in Francia, ma anche in altri Paesi europei ed extraeuropei. L’interesse non viene solo da parte di giovani, ma anche di persone ormai mature che riscoprono in età avanzata l’interesse per la cultura classica, come si rileva anche dalla crescente fortuna che hanno queste materie nelle Università per la Terza Età disseminate in Italia.
Non credo però che questo fenomeno possa essere sopravvalutato e che nel confronto fra Italia e nazioni straniere sia necessariamente l’Italia ad essere considerata perdente. Ho avuto i primi contatti diretti col mondo dell’insegnamento universitario e liceale francese nell’ormai lontano 1978, a un congresso della prestigiosa Association Budé, e i colleghi francesi già allora confidavano il ruolo limitato e subalterno che avevano da loro le materie classiche dopo la riforma scolastica di quegli anni: la situazione non è certo migliorata negli anni, e tuttora, quando parlo con colleghi stranieri, ho da parte loro reazioni persino incredule (se non addirittura invidiose). Da anni i nostri ministri ci propinano con insistenza persino patetica il mantra della necessità di portare la scuola italiana al livello europeo: significherebbe dequalificare sensibilmente la nostra scuola.
2. L’emarginazione delle materie classiche è stata in buona parte dovuta all’azione di partiti e intellettuali di sinistra, per l’ovvia difficoltà e imbarazzo nell’inserire il mondo classico all’interno di un’analisi fondata su princìpi di ortodossia marxista ai quali si ispiravano. In questo hanno trovato l’appoggio di altre forze politiche: non dimentichiamo che l’ultima picconata alla residuale presenza di latino nelle scuole medie inferiori venne inferta dal ministro Spadolini, repubblicano, nel 1976.
3. Infine, ed è questo a parere mio e di molti colleghi con cui da anni lavoriamo e ci confrontiamo attivamente l’aspetto essenziale della questione, non dobbiamo dimenticare che la presenza del latino e del greco nelle scuole s’inquadra in un progetto culturale che trascende l’aspetto linguistico puro e semplice. Lo scopo della presenza del classico nelle scuole, e l’impegno per estenderne lo spazio e l’importanza, è finalizzato alla necessità di mantenere vivo il legame con la nostra storia: studiare le materie classiche significa impegnarsi a ripercorrere criticamente la nostra storia e a riflettere sulla nostra identità culturale, significa presentarci con la nostra fisionomia e le nostre fattezze in una società sempre più multiculturale.
Posto dunque che lo studio del classico ha una valenza sociale, lo studio della lingua è da intendere come uno strumento imprescindibile: non si possono leggere testi e studiare letterature senza conoscere la lingua. Starà alla sensibilità e all’equilibrio dell’insegnante scegliere il metodo che meglio può portare a questo risultato, ma il primum non è la lingua, bensì la cultura o la storia: lo scopo del nostro insegnare queste materie deve essere la riflessione sull’ideale continuità che ci lega alle nostre radici greco-latine e ai loro ideali di bellezza e di pensiero, sui quali si è innestato il messaggio cristiano, che le ha vivificate e rese attuali.
Posto che l’educazione degli allievi è il nostro compito primario, avere studenti che sanno scrivere in latino (o addirittura parlare, come vorrebbero i fautori di discutibili metodi di studio foggiati oltralpe) e poi non percepiscono l’intensità di un testo di Virgilio o di Platone, sarebbe un venir meno e un tradire il compito e ad la responsabilità del nostro lavoro.