Sono evidenti la positività e l’innovatività di alcune previsioni contenute nel ddl Buona Scuola approvato dalla Camera (la valorizzazione del merito; il superamento delle graduatorie per titoli; la scelta dei docenti da parte della scuola; la detraibilità delle rette, e altro).

Ci sono però anche diversi punti critici; ne segnaliamo alcuni, relativi alle scuole paritarie, al fine di contribuire ad un possibile miglioramento della legge da ieri all’esame del Senato. 



1. Leggendo il testo licenziato dalla Camera emerge una certa confusione tra le norme “ordinamentali” e le disposizioni “organizzative”. Il fatto che in Italia — a differenza di quanto accade in molti altri paesi europei — lo Stato sia ancora gestore diretto di scuole (l’autonomia degli istituti scolastici statali fino ad oggi è rimasta sulla carta) fa sì che in materia di istruzione lo Stato debba svolgere due distinte funzioni: da un lato fissare le regole del percorso di formazione dei giovani (ordinamento scolastico), dall’altro organizzare i propri dipendenti che erogano il servizio scolastico. 



La presenza di scuole non statali (comunali e private), tenute a rispettare le norme ordinamentali, ma non anche le disposizioni organizzative statali, rende evidente il fatto che lo Stato debba tenere  ben distinte le due funzioni.

Ora, nel testo della Buona Scuola c’è una continua sovrapposizione dei due piani. Un solo esempio: il Piano dell’offerta formativa (strumento fondamentale dell’autonomia) deve diventare triennale (art. 2) e deve prevedere il fabbisogno dei posti del personale docente (comuni, di sostegno e per il potenziamento dell’offerta formativa) e non docente (amministrativi, tecnici e ausiliari).



Certamente una maggiore autonomia e una reale parità scolastica aiuterebbero a chiarire il “nuovo” ruolo di uno Stato che, finalmente anche in Italia, dovrebbe in primo luogo indicare i pilastri del percorso scolastico e valutare i risultati, anziché gestire un milione di dipendenti.

2. La previsione della detraibilità (dalle imposte) delle spese scolastiche è un’innovazione culturalmente importantissima. In Italia chi sostiene direttamente delle spese per servizi di interesse generale (sanità e assistenza) può detrarle dalle imposte che deve allo Stato. Che la detraibilità sia riconosciuta anche per le spese di istruzione è certamente un fatto importante, che sana una grave discriminazione. La detrazione è anche uno strumento di grande attualità. Il futuro del welfare in Italia e in Europa prevede infatti una sempre maggiore compartecipazione dei cittadini al costo dei servizi di interesse generale, con la possibilità per i contribuenti di non corrispondere allo Stato quanto già pagato direttamente. La detrazione oggi prevista è pari al 19 per cento delle spese scolastiche sostenute, con un tetto massimo di 400 euro all’anno (per un beneficio di 76 euro ad alunno). Se il principio è giusto, tuttavia bisogna anche renderlo praticabile in misura non solo simbolica, altrimenti si fa un cattivo servizio al principio stesso. L’auspicio pertanto è che il Senato alzi il tetto della spesa ammissibile, per rendere realmente utile l’importante innovazione.

3. Il ddl (art. 22) disegna un nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento dei docenti della scuola secondaria statale. Il laureato che vince un pubblico concorso per un posto di docente, prima in apprendistato per tre anni poi a tempo indeterminato, nel primo anno consegue un “diploma di specializzazione” all’insegnamento (che sostituisce la vecchia abilitazione). Il ddl prevede che le paritarie d’ora in poi debbano utilizzare docenti specializzati nel percorso “statale” sopra descritto. Di fatto nel sistema così disegnato (si può specializzare solo chi ha già vinto un concorso per un posto statale) le paritarie, che sono tenute ad utilizzare insegnanti abilitati ex legge 62/2000, non riusciranno a trovare docenti “specializzati”.

Occorre perciò modificare quanto previsto dalla Camera, ad esempio permettendo anche alle paritarie di assumere laureati in apprendistato e consentendo a tali insegnanti, nel primo anno, di frequentare lo stesso corso di specializzazione previsto per i docenti delle scuole statali.

Il Senato può migliorare il testo della Buona Scuola per rafforzare la autonomia scolastica e la libertà di scelta delle famiglie. Buon lavoro ai senatori.