Caro direttore, e cari amici insegnanti,
occorre ringraziare il sig. Renzi che ci ha costretto a rimettere la scuola al centro dell’agenda politica e sociale del nostro Paese. E occorre ringraziare i tanti insegnanti e dirigenti che ogni giorno educano i nostri ragazzi svolgendo una delle professioni più belle che una donna o un uomo possano realizzare. Ma, come dice anche il documento finale sulla “Buona Scuola”: per fare la Buona Scuola non basta solo un governo, ci vuole un Paese intero”. 



Eh sì, caro presidente, non basta “solo” un governo, e soprattutto non basta “da solo”. Ciò che ci preoccupa, infatti, non è il contenuto dell’ennesima riforma, ma innanzitutto il metodo utilizzato: quello della rilevazione delle opinioni (tante, dobbiamo ammetterlo) senza un confronto serio e serrato con i protagonisti che animano quotidianamente le nostre aule scolastiche, con quegli attori sociali che cercano di non rendere la scuola un terreno di scontro ideologico a cui, purtroppo, lo sciopero ammicca. Il confronto vero, quello fatto di ascolto, percezione della realtà, indicazione delle criticità, è un lungo percorso  che mal si sposa con la tecnica del “mordi e fuggi” che è propria del costume politico italiano degli ultimi anni, sia di centro-destra o centro-sinistra. 



Per fare la scuola “buona” occorre ridare dignità e prestigio al lavoro svolto: questo è il primo cambiamento che ci aspettiamo. Occorre dare dignità allo sforzo di tanti insegnanti che non si limitano a scaldare la sedia sulla cattedra, ma si occupano e preoccupano del futuro dei ragazzi che sono stati affidati loro: a questo dovrebbero servire gli incentivi, non a riempire le nostre scuole di progetti extracurricolari, a volte non sempre utili.

Cari amici insegnanti, sono con voi quando chiedete di essere ascoltati, ma non sarò con voi durante lo sciopero perché la dignità della vostra lotta possa non essere messa in discussione in questo momento elettorale, e spero che tanti candidati al prossimo consiglio regionale pugliese abbiano la stessa consapevolezza. 



Abbiamo bisogno di una politica diversa che mostri la sua diversità da subito.

Per questo sulla scuola, con tanti insegnanti, precari e dirigenti abbiamo lavorato e continueremo a farlo, perché 

1) la buona scuola sia una scuola bella attraverso un piano di riqualificazione delle strutture che abbia nell’anagrafe degli istituti scolastici il suo punto di partenza;

2) la buona scuola sia una scuola inclusiva, attraverso la messa a sistema dei programmi sulla dispersione scolastica in un quadro pluriennale di aiuto alle fasce più deboli;

3) la buona scuola sia una scuola che cambia in un contesto di continua trasformazione, attraverso una programmazione integrata e una pianificazione ottimale e integrata;

4) la buona scuola sia una scuola che guarda al lavoro come un’opportunità da valorizzare, monitorare e potenziare attraverso le buone pratiche che già esistono in Regione;

5) la buona scuola sia una scuola che non ha timore di essere valutata. Occorrerà mettere a sistema l’Osservatorio regionale dei sistemi di istruzione e formazione che possa definire strategie e programmazioni in materia di istruzione e formazione. 

Una politica, insomma, che nasce, si sviluppa e si potenzia dal basso, come “esito di un’autorganizzazione sociale”, diceva Vaclav Havel, premio Nobel per la Pace e primo presidente della Cecoslovacchia.