Dopo otto anni dall’ultimo sciopero generale, ieri le piazze italiane sono state riempite dal conservatorismo sindacale.
Innanzitutto, non è stata una buona idea indire lo sciopero generale della scuola nel primo giorno delle prove Invalsi, sebbene il loro calendario fosse conosciuto da tutto il mondo della scuola fin dall’inizio dell’anno scolastico e formativo. Per la loro legittima protesta, i sindacati avrebbero potuto scegliere qualunque altro giorno, evitando all’Istituto di spostare l’esecuzione delle sue prove annuali e fugando da se stessi il pur legittimo sospetto che la scelta del giorno non fosse così causale.
In secondo luogo, il punto della riforma maggiormente preso di mira dalla protesta riguarda forse il punto più qualificante della Buona Scuola, che è il rafforzamento dell’autonomia scolastica e delle prerogative del dirigente scolastico. Mentre sarebbe stato più comprensibile incentrare la protesta sul mancato svuotamento delle graduatorie ad esaurimento, sull’esclusione degli abilitati con i percorsi del tirocinio formativo attivo (Tfa) e dei percorsi abilitanti speciali (Pas). Così sarebbe stato più facile rispondere che l’immissione in ruolo di 100mila insegnanti non è né un’operazione inedita di questo Governo rispetto ai precedenti, né può compensare tutti gli altri insegnanti che con questa riforma avranno i prossimi concorsi come unica soluzione occupazionale nella scuola. Peraltro, a tutta quella platea di insegnanti con un’anzianità lavorativa superiore a tre anni potrebbe anche essere preclusa la possibilità di essere impiegata nelle supplenze annuali, per effetto di una specifica previsione del provvedimento della Buona Scuola.
D’altra parte, al conservatorismo sindacale si accompagna quello del Governo, che persiste nella politica delle assunzioni con sanatoria ope legis, senza valutazione di merito, in continuità con la prassi secolare della politica scolastica italiana. Infatti è conservatorismo rinunciare a mettere mano allo stato giuridico dei docenti, a differenziarne le carriere, a trasformare gli scatti di anzianità in premialità del merito, nonostante fosse uno degli obiettivi del documento programmatico, spendendo ulteriori 200 milioni di euro per una “valorizzazione del merito” che è prevedibile resti tale solo sulla carta e che potrebbe portare nelle tasche dei docenti poco più di 16 euro lordi al mese.
Il conservatorismo governativo si confonde poi con la mancanza di coraggio nell’affrontare direttamente nel ddl — e quindi sottraendoli al dibattito parlamentare — temi fondamentali quali il riordino di tutte le disposizioni normative sulla scuola, le modalità per conseguire l’abilitazione, il riordino della governance e degli organi collegiali, inserendoli invece in una delega dai confini amplissimi e dai criteri vaghi e indefiniti.
Come sempre, la resistenza al cambiamento e la tendenza all’immobilismo prescinde anche dal livello di conoscenza non solo della situazione della scuola italiana, ma degli stessi provvedimenti che si contestano. Tutta l’attenzione viene così catalizzata dagli slogan retorici del Governo e dai comunicati dei docenti e degli studenti, che alla fine sembrano manifestare contro i propri stessi interessi. Insomma, il rischio è che anche la Buona Scuola sarà un’altra buona occasione mancata.