Anche stamani è suonata la sveglia, tanto lavoro che mi aspettava a scuola. Mi sono vestita immaginando i colleghi, conosciuti e non, compiere gli stessi gesti, ma per andare allo sciopero del 5 maggio contro il ddl della Buona scuola. Quelli che hanno atteso, annunciato e promosso lo sciopero e i flash mob con una pressione che le catene di Sant’Antonio dei vari gruppi WhatsApp hanno centuplicato. Guai a scrivere, in questa valanga di video e sintesi improbabili del ddl condivisi a flusso continuo, “io non sciopero”… C’è mancato poco che, infilando la giacca e cercando le chiavi di casa prima di “salpare”, mi sentissi una ladra che andava a fare il colpo. Perché io, oggi (ieri, ndr), nel giorno in cui “siamo tutti uniti, dopo tanti anni, finalmente!” ho scelto di non scioperare. E, in effetti, il frame mediatico mi avrebbe affibbiato di lì a poco l’etichetta di “krumiro”, che ci sta pure, visto che insegno in classi di ristorazione…



Esco. Sull’autobus ancora nessun insegnante, troppo presto. 

Alla stazione incontro un ex-alunno con la storica fidanzata con cui lo beccavo sempre nella tromba delle scale e gli chiedo come sta. “Vado alla manifestazione, la prof mi ha ricattato!”. Lo guardo stupita e decisamente incredula, i ragazzi le sparano di tutti i colori. “Ma che dici!”, lo apostrofo io, ma pensando tra me e me “la pressione WhatsApp ha colpito anche gli studenti?”. “Veramente, prof! Ha detto che ho troppe assenze e se vado alla manifestazione non me ne conta un’altra”. Non gli credo, lo saluto con sguardo di ammonimento per quella che probabilmente è una bufala.



Entro a scuola, sala professori. E inizio a stupirmi, perché trovo pochi colleghi, ma quelli che non avrei creduto trovare. Tutti ci facciamo un’idea dei colleghi. C’è una collega di cui pensavo “lavoratore appassionato, di sinistra”. Eppure non sciopera e sorride ironico chiedendomi se avessi incontrato il tal collega scioperante venuto a vedere chi avesse firmato, inveendo contro i “krumiri”, appunto. Loro difendono i diritti di tutti, di me che, capricciosa, me ne vado a lavorare. Pochi altri arrivano, tutta gente che credevo in piazza. Resto in sala docenti a lavorare e ci diciamo perché non scioperiamo. Io dico la mia: il ddl contiene punti discutibili, ma anche delle novità interessanti. Ad esempio l’apertura, se pur ancora vaga, alla valutazione degli insegnanti e alla possibilità di una carriera docente; una spinta sull’autonomia scolastica; il concretizzarsi di una più reale parità scolastica e dunque di una maggiore concorrenzialità in seno al sistema di istruzione. I colleghi rincarano con un giudizio pesante sui sindacati cui sta in capo una grande responsabilità per lo “stallo” in cui versa una scuola dove siamo tutti uguali, con gli stessi diritti, ma dove c’è chi lavora e chi…



“Però è pur vero” dice una collega “che il ddl dà troppo potere ai dirigenti scolastici!”. Eccola, la nota dominante di tutti i WhatsApp di settimane! A fronte di una percentuale altissima di docenti che non hanno nemmeno letto il testo del ddl. E allora sorge la domanda “come mai Renzi ha voluto dire queste cose — non meglio definite — che certamente avrebbero destato l’ira dei docenti?” Ed ecco un’ipotesi lanciata da un collega veterano: “Così recupera gli 80 euro che tratterrà dalla busta paga di ogni scioperante e poi, magari, non fa nessuna riforma, o comunque non questa”.

Ma possibile che tutta questa baraonda sorga sulla paura del “potere ai presidi”? Possibile che in tutto questo parlare non sia mai messo a tema, dico mai, cosa significa oggi insegnare, educare, se vale la pena e perché? Possibile che l’unico “caglio” della nostra coscienza professionale sia l’andare contro e mai per qualcosa che abbia veramente a che vedere con la natura della scuola? Certo, muoversi per implica un lavoro che non è un flash mob, semmai è un continuous mob. Ma il lavoro implica l’andare al fondo della vera natura del nostro essere insegnanti, non solo impiegati statali.

Io desidero davvero incontrare chi oggi si aspettava veramente qualcosa dallo sciopero e mettermi al lavoro, con chi lo desidera, per scoprire insieme da dove può venire il cambiamento. Altrimenti saremo governati sempre dalla paura di qualsiasi cambiamento, solo perché noi non abbiamo un ideale pertinente — cioè che c’entra con l’essenziale della scuola — e, ultimamente, non abbiamo nulla di nuovo da proporre in questo senso.

Tutti rischiamo di essere come Renzo. Però ricordiamoci che la folla distrugge. Il popolo costruisce. Dal 6 maggio?