Caro direttore,
dopo lo sciopero e le manifestazioni del 5 maggio, di fatto un successo in termini numerici, Matteo Renzi ha dichiarato di essere disponibile al dialogo precisando che la sostanza della riforma non deve essere snaturata e aggiungendo polemicamente che la scuola non è dei sindacati.
Renzi non ha però capito il problema posto dallo sciopero, che non dev’essere visto e valutato secondo un’ottica dialettica, perché se è vero che la scuola non è dei sindacati, è altrettanto vero che non è del premier. E questo il 5 maggio nel bene e nel male lo ha dimostrato: vi è un popolo di studenti, insegnanti e genitori che vuole ridiventare protagonista del mondo della scuola, in ogni sua espressione.
Né Renzi né i sindacati, ma la scuola reale fatta di studenti e insegnanti: questo è emerso, che nessuno vuole più che al suo posto, in cattedra o dietro un banco, si seggano Renzi o uno dei tanti capi sindacali che hanno fatto il loro comizio il 5 maggio. Vi è qualcosa di nuovo, il disagio è tanto, l’indignazione è cresciuta, ma il dato dominante è che vi sono tanti studenti, insegnanti e genitori che vogliono essere protagonisti del cambiamento della scuola.
Per questo motivo la questione posta dallo sciopero non riguarda alcune rivendicazioni particolari della scuola, non è nemmeno se il preside debba o non debba essere sceriffo o sindaco, né quale sia il modo migliore per eliminare il precariato; il 5 maggio ha fatto invece emergere due questioni fondamentali, che se non verranno affrontate trascineranno la scuola nel baratro.
La prima è di un’evidenza lampante, ed è che senza un pensiero non ci può essere riforma della scuola. Questo è ciò che manca a Renzi, un pensiero, una idea di scuola su cui costruire. E un’idea di scuola non viene da riflessioni fatte a tavolino, da indagini di mercato. Il metodo per cercare una idea di scuola che possa essere incisiva oggi, è la scuola reale, quella che risponde al bisogno di educazione dei giovani. Renzi deve avere il coraggio di chiedersi dove oggi la scuola sia viva, dove sia capace di affrontare le domande dei giovani, dove sappia assumere il bisogno di educazione dandovi una prospettiva di cammino.
E’ dalla scuola viva che Renzi può trarre l’idea di scuola su cui costruire. Questo è il compito di Renzi, non deve aspettare o inventare, deve solo cercare, perché chi oggi costruisce, chi affascina i giovani, chi li coinvolge opera già oggi dentro le classi, tra gli studenti, e sa rendere avventuroso il loro percorso di studi perché lo àncora alla vita. Urge quanto mai individuare un’idea di scuola e di educazione che sappia valorizzare chiunque ogni mattina varca il cancello della scuola teso a trovare una umanità, questo è il fattore decisivo per una riforma che incida. Oggi Renzi questa idea di scuola non ce l’ha (non parliamo dei sindacati). Ce l’ha chi vive, chi in classe si incontra con l’altro e affronta ogni incontro come occasione di crescita.
La seconda questione è legata al preside-sceriffo, ma non direttamente: si tratta anche in questo caso di una questione che viene prima, ed anche qui è una domanda che sia Renzi sia i sindacati dovrebbero farsi: è la domanda di chi sia la scuola. Bisogna prendere sul serio questa domanda e tentare di rispondervi al più presto, altrimenti la confusione aumenterà e difficilmente se ne verrà a capo. La domanda è chiara ed esplicita e la risposta, senza stare a tergiversare, può prendere due strade, inevitabilmente opposte.
La scuola potrebbe essere dello Stato: è questa l’accezione che molti danno alla scuola, che sia lo Stato a tenere in mano tutte le attività scolastiche. In questo caso che dubbi avere? Se è dello Stato, la scuola deve avere un funzionario forte che faccia da cinghia di trasmissione delle direttive e delle carte che vengono dall’alto. In questo caso che sia il preside-sceriffo o il preside-sindacalista non farebbe molta differenza, sarebbe comunque un ritorno quanto mai forte dello statalismo.
Vi è però una seconda possibilità, emersa in modo forte il 5 maggio, e cioè che la scuola non sia del preside, non sia dei sindacati, ma di chi la fa. In questo caso, ed è evidente che sia così, niente preside manager o sindacalista, ci vuole qualcosa d’altro, bisogna mettere mano all’autonomia, è ora che si inizi a delineare la scuola autonoma, la scuola dove protagonisti sono studenti ed insegnanti impegnati insieme a vivere il rapporto con la realtà come occasione di conoscenza.
Una idea di scuola e una vera autonomia, solo questo potrà salvare la scuola, altrimenti condannata ad essere inghiottita nella dialettica tra Renzi e i sindacati, tra una idea di scuola e quella opposta.
Il 5 maggio può essere una svolta se sposta l’obiettivo, se al posto di discutere di tanti e giusti aspetti particolari, insieme ci prenderemo l’onere di costruire la scuola di cui hanno bisogno tutti gli studenti, una scuola che prenda sul serio il loro bisogno di umanità, il loro bisogno di senso.