Caro direttore,
in qualità di giovane insegnante, certo non alle prime armi ma neanche con la “fortuna” di essere inserito nelle tanto ambite Gae (ma sarà stato veramente un vantaggio rimanere per anni in coda ad una graduatoria, scalando le posizioni punticino per punticino?), mi permetto di intervenire sul ddl 2994, meglio conosciuto come La Buona Scuola, soprattutto dopo lo sciopero generale che ha visto i sindacati chiedere, uniti dopo sette anni, ai docenti di tutto il Paese di astenersi dal lavoro in segno di protesta.



Le ragioni di questa forte manifestazione di dissenso sono presto dette: no ad un preside sceriffo, no alla chiamata diretta dei docenti, no ad investimenti privati nelle scuole che le trasformerebbero in aziende, no al finanziamento delle scuole private, sì all’assunzione di tutti i precari che, a qualsiasi titolo, in questi anni hanno permesso il regolare funzionamento della scuola italiana (circa 550mila persone) attraverso il blocco di nuovi concorsi fino al loro smaltimento, sì ad un piano straordinario di assunzioni di Ata.



Tanti no e qualche, almeno discutibile, sì, insomma.

Ma è proprio vero che la riforma targata Renzi “sta smantellando la scuola pubblica e aziendalizzando l’istruzione”?

Ho deciso di scrivere perché, attento al dibattito che su questi temi si sviluppa sul sussidiario, vorrei proporre una riflessione a partire da quanto emerso nelle piazze italiane. Soprattutto alla luce del dibattito parlamentare che, sconosciuto ai più, sta avvenendo proprio in questi giorni in Commissione cultura alla Camera dei deputati e che sta riservando, a mio avviso, interessanti sorprese e significativi spunti di riflessione.



Innanzitutto un dato: la Commissione sta lavorando al provvedimento a spron battuto da ormai una ventina di giorni, audizioni comprese (circa 80 associazioni in poco più di una settimana: un vero record), anche di domenica (lo scorso 3 maggio i lavori hanno impegnato i deputati dalle 10.25 alle 19.40), e sta per iniziare a dibattere sugli articoli più spinosi (6, 7 e 8, riguardanti le assunzioni e la valutazione del merito dei docenti e i poteri del dirigente scolastico), con l’obiettivo di terminare, presumibilmente, il suo esame entro il 12 maggio, in modo da permettere all’aula di Montecitorio di votare la legge entro il 19. Un vero record, insomma, ed è la prima notizia, a mio avviso, positiva: il Parlamento può dare un contributo tempestivo alle urgenze del Paese, contribuendo fattivamente al suo sviluppo.

Ma veniamo al merito del provvedimento: il dibattito in Commissione sta mostrando una complessiva convergenza dei principali gruppi parlamentari (Pd, Forza Italia, Ncd-Udc, Sc) sulle linee-guida del ddl (in particolare la maggiore autonomia da concedere agli istituti), condivise e giudicate positivamente. E anche le associazioni ascoltate, complessivamente e pur con qualche distinguo, hanno considerato con interesse e apertura al confronto la struttura del disegno di legge: vuol dire che, in fondo, siamo di fronte ad un impianto innovativo e interessante. Si tratta, infatti, di un investimento strutturale, a regime ed escludendo l’edilizia scolastica, di tre miliardi di euro all’anno: un bel tesoretto, dopo anni di tagli orizzontali e, ahimè, bipartisan.

Sentire i commissari di schieramenti trasversali apprezzare l’autonomia scolastica contenuta nel ddl e vederli fattivamente lavorare all’affinamento e al miglioramento di una legge necessaria e con molti elementi di novità, mostra come il Parlamento, quando entra nel merito dei provvedimenti e abbandona gli slogan politici, possa contribuire seriamente alla crescita del Paese.

Gli emendamenti approvati finora, pur lasciando inalterato l’impianto generale del ddl, ne stanno profondamente modificando alcuni aspetti, con significativi ritocchi e miglioramenti quasi sempre bipartisan. La redazione del Pof (piano dell’offerta formativa) d’istituto (art. 2) diventa triennale e viene ora affidata al collegio dei docenti su proposta del dirigente scolastico, con successiva approvazione del consiglio d’istituto (e non è più affidato solo al preside), sentite le varie realtà del territorio. Un passo significativo in direzione di quella collegialità da più parti auspicata. L’organico dell’autonomia viene stabilito non più dal solo ds ma dagli Usr, e poi approvato, e modificato qualora si rivelasse necessario, ancora una volta dal consiglio d’istituto.

Ritocchi ci sono stati sugli insegnamenti di inglese ed educazione fisica alla primaria (art. 3), con l’indicazione di utilizzare anche specialisti, o docenti abilitati per gradi superiori, in modo che l’insegnamento di queste discipline sia più efficace. E sicuramente interessanti sono anche le modifiche agli art. 4 e 5 sull’alternanza scuola-lavoro, sugli istituti tecnici e sull’innovazione digitale, per la maggior parte bipartisan (segno di una larga condivisione e di un vero clima di lavoro in Commissione) e atti a rendere più autonoma ed efficace la proposta didattica, dando centralità anche alle esigenze e ai desideri dello studente. Sono state, infine, ritirate le deleghe al Governo in materia di riordino degli organi collegiali (art. 21).

Pesa, certamente, l’abbandono dei lavori della Commissione da parte del M5S, in segno di protesta contro il contingentamento dei tempi della discussione e la tagliola sugli emendamenti, così come restano ancora da sciogliere i nodi relativi alle immissioni in ruolo e alle future assunzioni da albi di insegnanti e per reti di scuole: vedremo in che modo la Commissione lavorerà su questi temi nei prossimi giorni (sono già stati annunciati importanti emendamenti ad opera della relatrice del ddl on. Coscia), anche alla luce degli ultimi incontri con i sindacati e le associazioni di insegnanti e studenti. Resta, a mio avviso, indiscutibile che lasciare una minima autonomia al dirigente e al consiglio di istituto nell’individuazione degli insegnanti della propria scuola (pur dentro un albo di docenti abilitati e già vincitori di concorso, magari su loro richiesta) è un principio legittimo e da salvaguardare, se vogliamo superare la stagione delle graduatorie infinite. Certo, con dei vincoli e delle salvaguardie, per esempio criteri uniformi e chiaramente definiti, ma nell’ottica di continuare a migliorare la qualità dell’istruzione attraverso anche una reale autonomia delle scuole.

Restano ancora molti gli aspetti migliorabili o non del tutto chiari del ddl: in base a quali criteri assegnare il bonus ai docenti meritevoli? Non è pericoloso affidarsi al solo e arbitrario giudizio del preside? Quali le categorie di insegnanti da assumere, e quali invece “deludere”, e con quali criteri decidere? Come affrontare il problema di chi ha già svolto 36 mesi di supplenze, e che quindi ha un significativo patrimonio di professionalità, che per il ddl dovrebbe essere escluso dalla scuola, perché “colpevole” di aver insegnato troppo senza essere stato regolarizzato? E poi il capitolo deleghe: è proprio necessario affidare al Governo la trattazione di numerosi e delicati temi (formazione iniziale, riordino delle modalità di assunzione e formazione dei Dirigenti Scolastici, revisione dei percorsi di istruzione professionale…), sui quali sarebbe necessario confrontarsi accuratamente? Si potrebbe continuare, ma la speranza è che il dibattito di questi giorni conduca a riflessioni accurate e scelte condivisibili.

Non sono certamente tali, a mio avviso, le contestazioni relative ai presunti “finanziamenti alle scuole private”: si tratta di detrazioni a carico delle famiglie (un tetto di 400 euro annui da detrarre nel modello 730 al 19%, quindi stiamo parlando di circa 80 euro all’anno a famiglia: una cifra minima, come notato dall’On. Centemero durante le audizioni in Commissione) e non di finanziamenti alle scuole, che comunque, se paritarie, è bene ricordare che fanno parte del sistema pubblico di istruzione al pari di quelle statali (legge Berlinguer 62/2000).

L’esperienza di questi giorni ci ha comunque mostrato che la logica del “tutti contro tutti” danneggia la scuola e non favorisce un dibattito nel merito dei provvedimenti.

Personalmente mi auguro che, dopo la prova di forza del 5 maggio, termini il braccio di ferro e si ricominci a discutere (come sta facendo il Parlamento), per condividere un processo di costruzione e non solo di contrapposizione. Rendendosi conto che alcune proposte sono irricevibili (perché auspicare un piano di assunzioni straordinario di oltre 550mila docenti, bloccando di nuovo i concorsi per anni e deludendo le speranze di migliaia di giovani che desiderano intraprendere la professione di insegnante?), altre necessarie (che il ds diventi in qualche modo responsabile del personale della scuola che dirige, pur con salvaguardie e con la corresponsabilità del consiglio d’istituto, è fondamentale, fermo restando anche il dovere di regolamentare la valutazione dei presidi — e anche su questo punto una riflessione condivisa è fondamentale), altre ancora da discutere e, si auspica, modificare per renderle efficaci e funzionali (modalità di assunzione, albi territoriali, organico funzionale). Con la consapevolezza che per costruire veramente occorre conoscere ciò di cui si parla, ascoltare l’altro e arrivare, alla fine, ad un compromesso e a una decisione in grado di far fare alla scuola italiana un salto di qualità e al docente di recuperare quella professionalità troppo spesso seppellita da cancrene difficili da estirpare.

@luca_tizzano