Caro direttore,
ho letto l’articolo di Luigi Berlinguer che compare oggi (ieri, ndr) sul Corriere della Sera. Un po’ di nostalgia latinista, una lode di maniera alla cultura del lavoro, la solita critica all’impostazione idealista, al logocentrismo, ai moduli educativi standardizzati, ai programmi ministeriali uguali per tutti. Una dichiarazione gratuita sul fatto che la scuola italiana sia seria e come tale percepita “nel mondo”. Una richiesta vaga di innovazione e di modernizzazione.



Ma nel mezzo dell’articolo compare una definizione che non deve passare inosservata. E’ una denuncia del “classismo” della scuola italiana: “L’attenzione e la cura dell’attività di studio e dello sforzo studentesco sono demandate al pomeriggio, a casa, fuori dalle funzioni istituzionali della scuola. Ecco la vera natura di classe”.



La dichiarazione gigantesca è lì, solitaria e senza approfondimenti, ma certamente fornisce la spinta intellettuale e giustizialista al tempopienismo. Mai avevo letto una dichiarazione così chiara che conferma in pieno la natura antigenitoriale del tempo pieno, che furbescamente viene presentato come un aiuto alle famiglie.

Per anni ho cercato di costruire nella mia scuola delle attività di recupero mirato sugli alunni con difficoltà di apprendimento e socializzazione, che persistevano nel tempo pieno con le stesse percentuali delle classi a tempo normale. Lei crede che i professionisti del grido di dolore anticlassista mi abbiano mai appoggiato? No, essi mi temevano e mi ostacolavano. Portando l’attenzione sulla differenza enorme tra il volume del curricolo italiano e quello europeo ho tolto la terra sotto i piedi al presunto egualitarismo e modernismo dei nostri professionisti dell'”anticlassismo”. Inoltre organizzando l’aiuto agli “ultimi” dentro la scuola davo il secondo colpo ai soliti professionisti che condannano l’estraneità delle istituzioni rispetto al lavoro riequilibratore. Ma di queste cose mi sono reso conto solo gradualmente, perché all’inizio ero costantemente stupito e non credevo ai miei occhi dato che ero certo di muovermi nella linea amata e proposta dagli “umanisti”.



Ecco svelato pienamente il nocciolo “teorico” ed emozionale della febbre tempopienista che pervade gli ambienti scolastici italiani e che, alleata del sindacalismo alla ricerca di posti ad ogni costo, ha portato alla rovina della scuola.

Anche l’apparente attacco al centralismo presente nell’articolo è ingannatore, perché critica “i programmi ministeriali uguali per tutti” come una delle fonti della crisi della scuola. Come se nelle nostre aule vigesse una eccessiva uniformità negli insegnamenti, quando tutti sanno che tra una classe e l’altra dello stesso istituto scolastico esistono differenze abissali, tra un insegnante e l’altro della stessa materia e della stessa scuola esistono gigantesche differenze sia nella proposta dei contenuti che nella valutazione.

Ho detto più volte che dietro il paravento degli innovatori egualitari nostrani in realtà si è realizzata la totale anarchia scolastica e non l’autonomia scolastica.

Ribadisco, anche davanti all’articolo di una personalità così significativa, che il controllo ministeriale sui programmi e sugli apprendimenti reali deve aumentare ma, con la partizione del curricolo, si devono aprire spazi alla discrezionalità degli istituti scolastici e con l’opzionalità si deve dare spazio alla personalizzazione del sistema.

Proprio il rifiuto di queste eterne ed ingannatrici sollecitazioni, ci permetterà di modernizzare, europeizzare e umanizzare la nostra scuola, facendo degli istituti scolastici dei luoghi di cultura ad ampio spettro, nei quali si svolga tutto il giorno e tutti i giorni dell’anno sia l’attività prescrittiva nazionale sia quella discrezionale locale. Nelle quali il personale collaborerà pienamente e senza riserve con le famiglie e con il territorio. Nelle quali l’attenzione ed il rispetto per gli alunni non sarà dedicato a sottrarli all’influenza delle famiglie, ma ad aiutarli a crescere in armonia con se stessi, la propria storia familiare e la società.