Finalmente il termine abusato di autonomia sembra precisarsi con la nuova legge. Quando cominciò a circolare, circa 25 anni fa, alle mie domande sul significato concreto del termine venivano date risposte diversissime. Più soldi, la personalità giuridica, le sponsorizzazioni, i programmi non vincolanti, il preside più potente, eccetera.



Oggi si precisa, e sono d’accordo (non voglio parlare qui dei miei sogni) che l’autonomia dell’istituto scolastico è essenzialmente la possibilità di incidere su una frazione del curricolo degli alunni. Già nel ’99 tramite il DPR 275 si era data questa possibilità teorica ma mancavano le risorse  concrete, come vedremo.



La definizione di ciò che è discrezionale a livello di istituto è contemporaneamente la precisazione di ciò che non lo è, cioè del curricolo obbligatorio nazionale. Sembra una considerazione ovvia ma è alla base della mia idea che il controllo ministeriale sulla frazione obbligatoria del curricolo (molto ridotta in volume) debba aumentare e contemporaneamente debba cessare qualunque controllo sulla parte discrezionale del curricolo. In Italia la confusione e l’eccitazione perpetua hanno finora impedito di chiarire le due problematiche, di isolarle e proteggerle, contemporaneamente condannando anche la scuola alla perpetua polemica e alla paralisi a cui ci siamo abituati e di cui siamo contemporaneamente nauseati.



Quindi l’attenzione va portata finalmente sull’analisi dei curricoli degli alunni, sul loro tempo scuola, sul loro apprendimento reale e sulla vivibilità della condizione scolastica.

Ormai la settimana corta sta diventando (come in Europa) la condizione generale, ma il peso degli orari nostrani (1000 ore annue) è assolutamente unico, come ho più volte provato. L’idea quindi di insegnamenti aggiuntivi si scontrerà con questa realtà.

Ma abbandonata ogni vis polemica, cerchiamo mentalmente di applicare i margini di manovra che la Buona Scuola consente ai singoli istituti scolastici, statali e paritari. Il ddl mette alla base dell’autonomia il vecchio, ma non famoso, DPR 275 del ’99 col quale si introduceva per la prima volta il concetto di curricolo essenziale nazionale quantitativamente pari (allora) all’85 per cento del tempo stabilito per le lezioni.

Successivamente la frazione è stata portata all’80 per cento, lasciando quindi agli istituti scolastici un apparente margine di manovra del 20 per la creazione di una frazione local del curricolo totale.

Ma la cosa in realtà non era fattibile, e non è avvenuta, perché i docenti assegnati alle scuole statali sono quelli definiti per materia e quindi la libertà di scelta dei contenuti local è molto limitata e dipendente dalla disponibilità del singolo docente. Inoltre il tempo scuola degli alunni doveva rimanere uguale per tutti. 

Io per anni tentai di diffondere il modello della riduzione dell’ora di lezione a 48 minuti (-20 per cento) per scaricare sugli alunni carenti il notevole tempo docenza risparmiato, pari a 3,6 ore settimanali per docente. 

Le resistenze furono fortissime da parte dei docenti che non volevano rientri pomeridiani ed inoltre la clausola della ricaduta su tutti gli alunni della docenza risparmiata impediva proprio di destinare ai bisognosi la risorsa stessa riducendola a pochissimo tempo. Nelle paritarie qualcosa si è potuto fare perché a parità di spesa per i docenti si è potuto ridurre il curricolo obbligatorio ed il personale addetto, somministrando poi, sempre a classe intera, altri insegnamenti, in genere musica o danza. Ma anche nelle paritarie l’informazione su questa flessibilità possibile è stata minima. 

La Buona Scuola permetterà in futuro nelle scuole statali un organico eccedente medio dell’8 per cento con personale scelto dalle scuole negli elenchi regionali a seconda del tipo di tracciato particolare scelto nel Pof per il curricolo.

Prendiamo come contesto di alcune simulazioni una scuola media di 15 classi, con orario alunni di 30 ore settimanali (5 giorni di 6 ore di lezione al mattino) con circa 30 docenti. In questo caso ci potrebbe essere un’eccedenza di 2,5 docenti pari a 45 ore di docenza settimanale, una quantità non trascurabile rispetto alle 540 ore totali di docenza settimanale erogate dall’istituto.

Come potrebbe essere dislocata tale eccedenza? Prospetto di seguito alcuni modelli con intrecci crescenti.

Modello A (orario immutato con la docenza aggiuntiva dell’autonomia in compresenza). Gli “eccedenti” si “spalmano” sugli altri insegnanti nel consueto orario di 30 ore al mattino degli alunni svolgendo le attività Pof o in compresenza a classe intera o con bipartizione della classe.

Modello B (curricolare immutato, ore aggiuntive pomeridiane opzionali). I docenti “eccedenti” svolgono il pomeriggio insegnamenti o attività aggiuntive decise dalla scuola, ed in disponibilità dei docenti eccedenti prescelti proprio per questo nelle liste territoriali. Con le 45 ore ci sarebbero 3 ore disponibili per ognuna delle 15 classi della scuola (o plesso) e quindi si tratterebbe per gli alunni di un pomeriggio di tre ore in più rispetto al tradizionale orario scolastico.

La legge non chiarisce ancora (o non ho capito io?) se le attività aggiuntive potrebbero avere per gli alunni un carattere opzionale o meno. Forse questo dipenderà dalla pressione delle scuole che ancora (ma sempre meno) sono alle prese con la febbre tempopienista.

C’è anche un modello B1: i docenti eccedenti sostituiscono nell’insegnamento ordinario docenti interni con particolari doti consentendo a questi di dedicarsi a corsi aggiuntivi pomeridiani per tutta la scuola.

Modello C (riduzione del 10 per cento del curricolare + docenza aggiuntiva dell’autonomia). I docenti eccedenti si inseriscono con le loro tre ore settimanali per classe nel quadro orario immutato delle lezioni del mattino, svolgendo gli insegnamenti aggiuntivi decisi dal Pof e consentendo la riduzione proporzionale di tutte le lezioni da 60 a 54 minuti. Ciò, senza cambiare l’orario complessivo degli alunni, creerebbe ad ogni docente un residuo settimanale di docenza pari a 108 minuti che potrebbero essere dedicati al recupero mirato. Sarebbe circa un pacchetto di 3,5 ore settimanali di docenza per classe. 

Nella mia ex scuola funziona un doposcuola per alunni carenti gestito tramite volontari con due rientri pomeridiani non obbligatori di tre ore. Il tempo docenza per il recupero mirato è sempre poco, tenendo presente che gli alunni carenti sono circa 4-5-6 per classe e che per essere efficace il lavoro di recupero deve svolgersi su due o massimo tre alunni ed in casi particolari anche su uno solo. Il lavoro mirato svolto dagli stessi docenti della classe sui propri alunni più problematici ha una grande ricaduta positiva anche nel lavoro a classe intera. Il recupero su gruppi di 5 o 6 o più alunni è provato come assolutamente inefficace. 

Modello D (riduzione del 20 per cento del curricolare + docenza aggiuntiva dell’autonomia). La scuola statale oltre all’eccedenza della Buona Scuola utilizza anche la tutta vecchia possibilità di riduzione del curricolo essenziale all’80 per cento. Quindi le lezioni diventano di 48 minuti ed ogni docente si trova con un tempo docenza settimanale residuo di 3,6 ore. Con queste ore (3,6 x 30 = 108) più la docenza “Renzi” di 45 ore settimanali si può progettare un lavoro mirato sugli alunni carenti e qualche attività di potenziamento rivolta a tutti gli alunni in due pomeriggi di 3 ore. Per ogni classe ci sarebbero a disposizione circa 10 ore settimanali di docenza “libera”. In questo modello le mattine sono alleggerite perché gli alunni passano da 30 a 24 ore di lezione, cioè poco più di 4 ore e mezza consecutive.

Si potrebbe pensare anche ad un modello diverso nei due quadrimestri e ad infiniti mix delle varie opzioni.

Non ho considerato la questione dell’utilizzabilità dei docente “eccedenti” nelle supplenze brevi. Ovvio che questo utilizzo può ridurre di molto e perfino azzerare l’eccedenza. Inoltre la condizione di eterno supplente sarebbe molto osteggiata anche sindacalmente perché non strutturata e poco qualificante. Invece nei modelli C o D tutti i docenti potrebbero dedicare, ad esempio, un’ora settimanale alle supplenze brevi e le rimanenti ore “liberate” al Pof.

Certo se terminasse la febbre tempopienista che consente di sperimentare solo l’aumento delle ore-alunno, e le ore settimanali obbligatorie fossero ridotte a 24 o anche meno (a mio parere 4 ore x 5 giorni sarebbe perfetto) e si accettasse una differenza opzionale di tempo scuola tra gli alunni, come nel resto dell’Europa, tutto sarebbe più semplice ed efficace. I rientri pomeridiani opzionali o di recupero sarebbero meno gravosi o addirittura piacevoli ed il clima si migliorerebbe moltissimo assieme ai risultati sia formativi che di apprendimento. 

Mi sembra di percepire un timore eccessivo per lo spettro della disgregazione che rende ridondante, macchinosa e dolorosa l’aggregazione obbligatoria potenziando… il desiderio di fuga. Non si teme molto invece la realtà dell’anarchia, che verrebbe superata con la distinzione chiara e semplice tra obbligatorio ed opzionale. Speriamo di riuscire a trovare una via ragionevole.