Gli studenti che il prossimo 17 giugno affronteranno la prima prova d’esame sanno benissimo di cosa si tratta, per essersi esercitati sulle varie tipologie proposte nel corso degli ultimi tre anni, e probabilmente arrivano al giorno fatidico forti delle istruzioni e delle raccomandazioni dei loro docenti. Chi si sente tranquillo e attrezzato e sicuro del fatto suo potrà dunque fare a meno di leggere questo articolo, che è dedicato a chi invece ha ancora le idee un po’ confuse o è spinto dalla curiosità di confrontarsi con il parere di un altro docente, e che avrà un taglio prettamente tecnico e operativo. Non potendo essere esaustivo, mi limiterò a focalizzare alcuni aspetti che ritengo fondamentali.
Mi concentrerò sulla cosiddetta tipologia B (quella che è suddivisa in quattro ambiti e che può essere trattata come saggio breve o come articolo di giornale) e sul tema di ordine generale (tipologia D), cioè sulle opzioni di solito più gradite agli studenti. Una volta ricevuto il fascicolo con le varie tracce, cosa fare per prima cosa? Come orientarsi?
Occorre ovviamente dare un rapido sguardo ai diversi argomenti proposti nei quattro ambiti della tipologia B e al titolo del tema di attualità e subito scartare tutto ciò sul quale non si hanno le idee chiare o non si ha proprio niente da dire. La scelta deve ricadere su una tematica nota. Può sembrare un consiglio banale, ma non lo è, perché in certi frangenti è facile fare delle scelte sbagliate e occorre un criterio semplice da seguire. Mettiamo da parte tutte le tentazioni di scrivere l’opera della vita che cambierà i destini dell’umanità, e pieghiamoci umilmente a dire bene e in modo sufficientemente approfondito e originale qualcosa su una tematica che conosciamo, perché questo ci è richiesto. A questo punto però si deve distinguere.
Se scegliamo il tema, abbiamo solo il titolo a disposizione. L’argomento ci è noto, pensiamo che vada bene per noi. Attenzione allora a capire bene quel titolo e soprattutto a comprendere cosa ci chiede. Di solito i titoli dei temi sono piuttosto articolati ed anche precisi nelle loro richieste. Non bisognerà lasciare fuori niente, si dovrà dare spazio a tutto. Ad esempio ci potrà essere chiesto prima di esporre quello che sappiamo circa una certa problematica, poi saremo invitati ad esplicitare una nostra posizione, magari a partire da qualche esperienza. Esporre, argomentare, testimoniare personalmente: il tema dovrà fare tutto questo, perché questo è richiesto. Niente di più, ma soprattutto niente di meno.
Se invece scegliamo la tipologia B, prima ancora di optare per la forma saggio o articolo, dovremo porci il problema di cosa abbiamo da dire noi rispetto all’argomento proposto. Come si sa, questa tipologia è corredata di documenti. In questo caso l’errore più comune è quello di costruire un testo che non fa altro che mettere insieme le varie posizioni espresse dai personaggi (sociologi, scrittori, filosofi, scienziati, storici, politici, opinionisti…) e riportate nella documentazione.
Ma questi signori vengono dopo. Prima vieni tu con le tue idee, con quello che pensi e che sai sull’argomento, con i riferimenti che puoi fare ad altri testi (romanzi, articoli, saggi, film, canzoni, poesie, opere d’arte…). Il materiale in documentazione ti servirà (e lo dovrai usare, non puoi far finta che non ci sia…) come un punto d’appoggio per confermare quello che pensi, o per confrontarti con un’idea diversa e confutarla, o per un ulteriore sviluppo e approfondimento. L’argomento proposto dalla tipologia B è di solito molto vago e generale (a differenza del titolo del tema). All’interno di quella traccia io ho il compito di scegliere la mia strada, la mia particolare prospettiva (che poi dovrà essere esplicitata e annunciata nel titolo che metterò al testo). Può essere utile formulare una domanda iniziale: il compito la svilupperà (utilizzando il materiale dato ed altro materiale) e arriverà ad una risposta.
Insomma, tanto per il tema che per la tipologia B, dopo aver scelto l’argomento è necessario quel brain-storming (cioè quel momento di lavorio del cervello) che ci consente di estrarre tutto quello che sappiamo su quell’argomento. E’ una fase importantissima e delicatissima, di solito boicottata dallo studente medio che invece mette al primo posto un altro problema: come inizio? Ma non si può iniziare niente senza sapere dove andare, non si può attaccare un discorso senza sapere cosa dire. Se non si fa bene questa operazione si producono testi molto banali e poveri di contenuto, o, appunto, si finisce per mettere insieme quello che dicono altri (e solo quegli altri che ci sono proposti dalla documentazione!).
Quando scriviamo dobbiamo poi metterci bene in testa che c’è qualcuno che legge. Altra considerazione banale, direte. Eppure anche l’attenzione nei confronti delle esigenze del lettore è qualcosa di molto estraneo ad uno studente. Spesso non ci si cala in una situazione comunicativa reale, ma in una sorta di limbo astratto dove io che scrivo partorisco idee molto generali senza curarmi della chiarezza e della concretezza di quanto espongo.
Il primo dovere che abbiamo è quello di costruire un testo che abbia uno suo svolgimento coerente, lineare, in modo che chi lo legge possa fare questo percorso: c’è una tematica generale; rispetto a questa si affronta un particolare aspetto, quindi si imbocca una strada precisa; si segue la strada (l’argomentazione) e si arriva ad una conclusione che chiarisce quanto era stato premesso all’inizio del viaggio. Bisogna aver chiaro da dove si parte e dove si arriva e bisogna che le tappe intermedie siano ben comprensibili al lettore (anche graficamente: gli a capo e i capoversi servono a far capire che si sta passando ad un nuovo argomento, ad un nuovo aspetto del problema, che insomma si va verso una nuova tappa del viaggio).
Da quanto si è detto si deduce che prima ancora di iniziare a scrivere è molto importante avere bene chiaro in testa lo svolgimento complessivo (è la famosa “scaletta”, che fanno tutti coloro che utilizzano la scrittura in modo professionale e che invece lo studente si permette normalmente di evitare). Ci vorrà poi una particolare cura nel curare i passaggi da un’argomentazione all’altra.
Attenzione al lettore, si diceva prima, vuol dire anche concretezza. Diciamo cose, piuttosto che dire idee (e questo suggerimento vale moltissimo per chi sceglie la forma dell’articolo): eviteremo quel sapore di vago e di astratto che spesso è il limite dei testi degli studenti (e non solo, purtroppo). Gli esempi sono importanti: casi concreti, osservazioni dirette, esperienze personali, dove previsto, hanno il vantaggio di dare forza, attualità, evidenza al ragionamento. Sono un modo per esemplificare un’idea.
Il nostro problema deve essere: si capisce quello che sto dicendo? E’ chiaro lo svolgimento del mio pensiero? E’ chiara la mia posizione rispetto al problema? Ho presentato bene il fenomeno? Sono stato convincente? Il lettore, il mio interlocutore, sarebbe soddisfatto di quanto gli ho esposto? Lo lascio con un’idea chiara? E, se ho scritto un saggio o un articolo, questa idea è già contenuta nel titolo?
Essere generici, vaghi, confusi, superficiali nell’esposizione, dare tanto per scontato… non ci si può permettere niente di tutto questo. Non ce lo permetteremmo mai in qualsiasi situazione in cui fossimo chiamati ad esprimere il nostro parere. Insomma, il contesto, la situazione comunicativa deve essere ben chiara e presente. Nel caso della tipologia B deve essere addirittura dichiarata (le consegne chiedono di esplicitare la destinazione editoriale dello scritto).
A chi parliamo, perché gli parliamo, come gli parliamo e cosa gli vogliamo dire ci deve essere ben chiaro. Tutto questo è banale. Ma allora perché spesso, troppo spesso, non ci caliamo nella banalità della comunicazione?