Chissà dove sono finite le polemiche sulla seconda prova al liceo classico di qualche mese fa? Puntuale, anche quest’anno tra pochi giorni al liceo classico si ripeterà il rito della traduzione dal latino come seconda prova dell’esame di maturità. La “versia” la chiamano in gergo gli studenti, quasi ad esorcizzare uno scoglio impossibile. Comunque sia questo è l’ostacolo e cercherò di dare qualche consiglio pratico per superarlo con onore, una sorta di decalogo.
1. Premessa d’obbligo: il testo latino ha senso. Se la traduzione è insensata è sicuramente sbagliata. È inutile farsi illusioni. Rarissimamente è corretto ciò che sembra incomprensibile. È vero che ci sono certe usanze che uno può non conoscere (“cantare il peana” per qualche tempo per me è stata una cosa misteriosa prima di scoprire che gli spartani eseguivano questo canto in onore di Apollo prima di un pericolo, come per esempio una battaglia, o come ringraziamento dopo la vittoria). Ma per lo scritto di maturità la maggior parte di queste astruse particolarità che segnano la reale distanza che c’è tra noi e gli antichi dovrebbe essere nota. Quindi tutto deve avere una logica, un senso.
2. Prima di trattare delle traduzione vera e propria consiglierei alcune operazioni, spero scontate, ma che ritengo utile indicare:
A. Sembra scontato ma molti non fanno caso a due particolari: il titolo e l’autore. Qui lo studio letterario può fornire qualche indicazione preziosa sul genere letterario, sugli argomenti possibili, sul lessico specifico. Vitruvio parlerà di architettura, Quintiliano di educazione, Seneca di filosofia, Livio di storia; ma … Cicerone può parlare quasi di tutto!
B. Non bisogna rinunciare alle informazioni sintattiche, alle sottolineature lessicali e in generale agli spunti relativi al senso del testo che si possono ricavare dalla lettura espressiva del brano proposta dal commissario.
3. Prima di gettarsi sulla traduzione occorre leggere più volte il testo con finalità diverse:
Provare ad intuire se non il senso, almeno l’argomento; individuare le parole chiave (generalmente ripetute più volte); provare a riconoscere la struttura sintattica (almeno a grandi linee) del testo. Tutto ciò non è tempo perso. Spesso ci si blocca perché non si ha un’idea globale sul brano.
4. Si sa che gli elementi più problematici dal punto di vista morfosintattico sono infinito, congiuntivo, participio e gerundio/gerundivo. Quindi un’attenzione particolare meritano le frasi che li contengono.
5. Per capire il testo bisogna fare molta attenzione ai cosiddetti connettivi (le congiunzioni). Grazie ad essi si ha lo sviluppo narrativo (es. postquam …“dopo che”; priusquam… “prima che…) o argomentativo (es. Nam “infatti”, ergo “quindi”, ecc.). Bisogna riuscire a immaginare la successione dei fatti e la consequenzialità del ragionamento.
6. Non bisogna pretendere di avere tutto chiaro e definitivo subito. Si appronta innanzitutto una traduzione provvisoria in cui si evidenziano punti dubbi, poco chiari, da rivedere.
7. Non bisogna fermarsi troppo tempo su un punto poco chiaro. La gestione errata del tempo crea parecchi danni. Occorre avere fiducia nella capacità espositiva degli autori latini. Per esempio, spesso il periodo successivo chiarifica il contenuto del passo precedente.
Occorre fare attenzione ad alcuni accorgimenti stilistici: spesso gli autori latini utilizzano il parallelismo, cioè delle strutture vengono ripetute. Questo è molto utile perché grazie al parallelismo una costruzione che sembra complessa si rivela più semplice perché ripetuta o riproposta in una versione più semplice. Anche il chiasmo è molto usato (struttura incrociata, per esempio il famosissimo sallustiano satis eloquentiae, sapientiae parum, avverbio-genitivo, genitivo-avverbio) e ben riconoscibile.
9. Dopo avere terminato la traduzione provvisoria incomincia il lavoro di autocorrezione. Io consiglio sempre una serie di controlli con un obbiettivo specifico per volta. Propongo almeno questi:
A. Leggere la propria traduzione per individuare se globalmente ha senso ed è comprensibile. Come ho premesso: dove non si capisce qualcosa nella propria traduzione, c’è sicuramente un errore.
B. Controllare dal latino di avere tradotto (o riportato) tutte le parole. Non è raro che non vengano trascritte parti che uno ha tradotto.
C. Verificare se la traduzione italiana è sintatticamente compatibile con la struttura latina: tradurre un’infinitiva latina con una temporale italiana “perché suona bene” è sicuramente sbagliato.
D. Verificare almeno la concordanza soggetto-predicato e i tempi dei verbi.
10. Prima di copiare in bella sarebbe auspicabile una buona resa italiana, possibilmente stilisticamente coerente con l’autore: Sallustio e Lucrezio che scrivono con arcaismi meriterebbero qualcosa di analogo in italiano. Questo è forse troppo, ma almeno che ci sia una correttezza grammaticale (e ortografica) e un testo leggibile anche in italiano.
Si potrebbero dire molte altre cose, ma avevo promesso un decalogo.
Per usare un’immagine lucreziana, mi si potrebbe obiettare che è bello guadare dalla spiaggia (io docente) coloro che sono nella tempesta (gli studenti che devono affrontare la prova). Ma anche io sono stato in quella tempesta e ricordo di averla affrontata con onore. È quello che auguro anche a chi, dopodomani, dovrà sostenere un momento importante della propria vita. La versione potrà essere facile, difficile, impossibile …. Quello che resterà ad ognuno è come avrà affrontato il rischio.
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