A leggere il giudizio foscoliano su Vicenzo Monti, celebre e ai suoi tempi celebrato autore di un volgarizzamento dell’Iliade (egli era un “gran traduttor dei traduttori”), si capisce che il poeta era stato generoso: Monti non sapeva il greco, ma aveva utilizzato traduzioni precedenti raggiungendo vette poetiche. I nostri liceali, mediamente, non sono certo tutti grandi traduttori ma più prosaicamente sperano di non diventare traditori della versione latina che sarà assegnata loro come seconda prova alla maturità classica.
Secondo le teorie della psicologia cognitiva la lettura è un processo, un’abilità del tutto naturale: comprendere e imparare sono fondamentalmente la stessa cosa, cioè mettere in relazione il nuovo con il già noto. La predizione è il cuore della lettura: tutti gli “schemi” mentali che costituiscono la nostra conoscenza del background di luoghi e situazioni, di discorsi scritti, generi e storie. La comprensione è dunque assenza di confusione e, date queste premesse, attivare le nostre conoscenze storico-culturali per dare un soffio di vita alla versione è il primo passo per non trasformare l’atto traduttivo in un sodoku (meta)linguistico di dubbio esito.
Non buttiamoci sul dizionario, che è un ammasso di parole e locuzioni, per cercare le famigerate frasi fatte, ma sul foglio bianco organizziamo in una sorta di brain-storming le nostre conoscenze e nozioni che il titolo della versione, spesso dato in italiano, e l’autore, spesso studiato nella storia della letteratura, ci suggeriscono.
Tiriamo un respiro profondo e attraversiamo il metaforico ponte dei sospiri che congiunge il lato del primo approccio intuitivo all’altra sponda, dove dobbiamo mettere in cimento tutta la nostra abilità di traduttori. Secondo il teologo e filosofo tedesco Gerhard Ebeling, “l’origine etimologico di hermenéuo e dei suoi derivati è controversa ma rinvia a radici col significato di ‘parlare’, ‘dire’ (in connessione col latino verbum o sermo). Il significato del vocabolo va cercato in tre direzioni: asserire (esprimere), interpretare (spiegare) e tradurre (fare da interprete). Si tratta di modificazioni del significato fondamentale di ‘portare alla comprensione’, di ‘mediare la comprensione’ rispetto a differenti modi di porsi del problema del comprendere: sia che venga interpretato un fatto mediante parole, un discorso mediante spiegazione, un enunciato in una lingua straniera mediante una traduzione”.
La gran parte degli studenti, che forse non raggiungono l’acme della competenza dei concorrenti delle Olimpiadi di cultura classica e dei numerosi certamina che infestano le patrie regioni, ricorrerà all’arte sibillina; come poetava il sommo Dante: “Così la neve al sol si disigilla/ così al vento ne le foglie levi/ si perdea la sentenza di Sibilla“. Orbene, un filo rosso che deve guidare con sicurezza il candidato nel labirinto del periodare latino, è che le parole che compongono il testo non sono foglie latine in balia del vento della casualità, ma sono concatenate e legate tra loro da una regolarità morfosintattica: come in una radiografia individuiamo, con acribia, preposizioni, congiunzioni e connettivi.
Come è noto, i Romani non avevano la punteggiatura come noi e scrivevano, solitamente, nella cosiddetta scriptio continua: tutto in maiuscolo e “attaccato” (i segni di interpunzione come il carattere minuscolo saranno “inventati” nel Medioevo). Gli elementi dunque prima menzionati rivestono grande importanza nello scandire (e nel segnalare al lettore-ascoltatore, poiché la lettura nella mente è attestata per la prima volta nelle fonti letterarie nella testimonianza agostinana per il vescovo Ambrogio nel IV d.C.) l’ossatura morfosintattica del testo latino.
Il percorso verso la soluzione dell’enigmatica versione può continuare come una caccia al tesoro: se si evita di angosciarsi, si taglia la testa a quell’idra che è l’emotività, cattiva consigliera. Tenendo lucida la mente e ben carburata, magari con un po’ di cioccolato (mensa sana in corpore sano!), il vocabolario diverrà il fidato compagno del viaggio per capire cosa vuol dire l’autore antico in quel testo: se io vado in un paese straniero di cui conosco poco la lingua come turista, mi sforzerò prima di tutto di comprendere, ad esempio le insegne, utilizzando il vocabolario e poco mi curerò, inizialmente, della grammatica. Questa (apparentemente) banale constatazione ci indica che prima è necessario capire grosso modo il succo del discorso, individuando o i tratti salienti dell’argomentazione se si tratta di passo oratorio o filosofico (Seeneca con il suo stile drammatico è un ever green rispetto al tradizionale Cicerone), o i rapporti di causa-effetto se siamo di fronte a una narrazione storica (prestare la massima attenzione agli “svarioni” della inconcinnitas di Tacito e ai “saliscendi” di Sallustio!).
“Portare alla comprensione” ovvero “mediare la comprensione” è il passo propedeutico per preparare la resa in italiano del passo latino: faccio dunque una traduzione di servizio, per così dire, che serve appunto a capire quanto ho capito. Dopo aver allestito un testo italiano “mediato” (una traduzione letterale? Se proprio non capisco quel punto della versione, non la farei nemmeno letterale… ma ci ritorno in un secondo momento) per tutta la versione latina, mi concedo qualche minuto di decantazione per dare requie alla mente: ora sono pronto per costruire un testo in italiano corretto e accettabile. Molto rimarrebbe da dire, ma molto gli studenti hanno già fatto sotto la guida dei loro docenti nel corso dell’anno scolastico e questo è quel che importa. Scriveva Girolamo, colui che ha tradotto dall’ebraico e greco in latino la Bibbia: quanquam hoc tantum probare voluerim, me semper ab adolescentia non verba, sed sententias transtulisse… come a dire che anche lui da ragazzo traduceva non le parole ma il senso, ma in latino corretto! A tutti — alunni e docenti — un augurio di buon lavoro. Ma anche a chi a Trastevere sceglierà la versione.
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