Il Miur smentisce se stesso; anzi no, si corregge, ma con un secco comunicato in cui fa finta di non correggersi, scrive che si tratta di un equivoco e che… la colpa è dei giornalisti. La faccenda è questa: nell’ordinanza del 29 maggio sugli esami di maturità l’ignoto estensore ministeriale, preso forse da ebbrezza di prescrittività, cambia un verbo nel tradizionale articolato sulla terza prova scritta. Al posto di un “possono” compare un “devono” e il testo diventa vincolante perché siano coinvolte cinque discipline al posto delle usuali quattro.



“Nella terza prova devono essere coinvolte, entro il limite numerico determinato nell’articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 20 novembre 2000, n. 429 [cioè cinque, nda] tutte le discipline comprese nel piano degli studi dell’ultimo anno di corso, purché sia presente in commissione personale docente fornito di titolo ai sensi della vigente  normativa”. Il cambiamento è così indiscutibile che ispettori ministeriali di alcune regioni invitano i presidenti di commissione ad impostare la terza prova sulle cinque discipline. Ieri sul sito del Miur compare uno scarno comunicato che rettifica: “Nessuna sorpresa sulla terza prova dell’Esame di Maturità che non deve obbligatoriamente riguardare cinque materie, come trapelato su alcuni organi di stampa, ma fino ad un massimo di cinque, secondo quanto previsto dal Dm n. 429 del 2000”.



La cosa si può (o deve?) rubricare tra i piccoli peccati veniali che inevitabilmente toccano una macchina così complessa (farraginosa?) come quella degli esami? Forse. Ma può anche segnalare una difficoltà grave in cui tutto il meccanismo degli esami si va progressivamente ad impantanare. 

Da una parte l’esigenza di cambiare radicalmente questi esami che sono vecchi e inadeguati, costano tanto e producono poco sul piano valutativo; dall’altra l’apparato ministeriale che lavora sul micro-dettagli burocratici, la parolina da cambiare, la regoletta da sovrapporre ad altre mille regolette (“non si corregga prima della terza prova! Si pubblichino i risultati degli scritti il giorno prima e non più un giorno prima!”). In mezzo, come sempre ci sono i ragazzi, il loro diritto ad essere valutati per quel che valgono. E con loro gli insegnanti e i presidi che fanno gli esami e che amerebbero spendere le loro energie in un contesto meno ripetitivo, più snello ed efficace.



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