Se c’è una cosa che si può imparare vivendo un rapporto vivo con la letteratura, è che, alla radice di ogni possibile sfumatura, esistono solo due tipi di parole: quelle che liberano e quelle che uccidono. Allo stesso modo, un autore può utilizzare la sua letteratura per liberare la realtà, per darle una voce, per offrirle un servizio, oppure per costringerla entro i limiti del suo orizzonte visivo, nell’angusto schema partorito dal suo cervello. Ma c’è dell’altro. Ogni volta che un uomo dice o scrive qualcosa, soprattutto se lo fa nelle vesti di “autorità”, si assume un’immensa responsabilità nei confronti di chi lo ascolta o legge. Arturo Toscanini, uno dei più grandi direttori d’orchestra nella storia della musica, scriveva: «Fermamente credo che la miglior parte di me stesso, quella che meglio potrebbe mettere in luce la mia anima, rimane e rimarrà sempre inespressa: soltanto ai pochi esseri veramente superiori quali Dante, Shakespeare, Leopardi, Beethoven, Verdi, Wagner, è dato di esprimersi interamente per la gioia di tutta l’umanità».
Se un poeta, dunque, ha il grande dono di saper cogliere e tradurre in parole ciò che altri solo confusamente scorgono dentro e fuori di sé, come potrebbe arrogarsi il diritto di chiamare verde ciò che invece è rosso, se non al prezzo di perdere sé e indurre a perdersi chi lo ascolta? Proprio come successe a Paolo e Francesca. «Leggevano un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse», e da lì a poco commisero l’atto che li avrebbe persi per l’eternità. Il nome che essi daranno al sentimento che li ha persi è proprio “amore”, lo stesso modo in cui l’autore della storia di Lancillotto chiama il sentimento che arde nel cuore del cavaliere. Ma come può l’amore essere il biglietto di sola andata per l’Inferno? Probabilmente Paolo e Francesca si sono fidati del libro sbagliato, e avevano chiamato “amore” ciò che amore non era. Ma se fosse appena questo, allora i due amanti sarebbero assolti, e tutta la responsabilità della loro colpa ricadrebbe sull’autore del libro “galeotto”. Ahimè!, scelte di lettura sbagliate, e amen. Il punto è che la letteratura, la vera letteratura, si fa in due. C’è chi enuncia le parole e chi le recepisce, e allora la responsabilità sulla verità di quelle parole ricade su entrambi. Purtroppo queste parole devono sempre scontrarsi con quella cosa così maltrattata che è la realtà, che pure ha lo strano vizio di essere silenziosamente prepotente, e se una cosa non le corrisponde allora non c’è niente da fare. E di accorgersi di questo son capaci tutti, e lo erano anche Paolo e Francesca, ma hanno preferito continuare raccontarsi una menzogna, fino a morirne. Anche Ezio Raimondi sostiene che «l’immaginazione della letteratura propone la sconfinata molteplicità dei casi umani, ma poi chi legge, con la propria immaginazione, deve interrogarli anche alla luce della propria esistenza»: ciascuno ha i dati necessari per verificare la credibilità di quanto ascolta o legge.
Todorov, nel suo scritto La letteratura in pericolo, sostiene che la letteratura non nasce per modificare le cose percepite, per trasformare in verde ciò che è rosso (riprendendo l’esempio di prima), ma allarga i nostri orizzonti, insomma ci educa a guardare meglio per cogliere ciò che prima non coglievamo di quanto già c’è. Non si tratta quindi di creare una realtà altra rispetto a quella fatta di persone, scarpe, poltrone e finestre (come si vede nel dipinto di Hopper), ma di interrogarla per provare a conoscerne sempre più a fondo la verità.
Ma cos’è, allora, la letteratura? Darne una mera definizione significherebbe commettere un omicidio. Omicidio, perché essa vibra della vita umana, dell’esperienza che ogni uomo può fare di sé, del mondo, della realtà, della vita in tutte le sue sfaccettature. E tra le mille pieghe della vita ci sono anche gli errori, le sviste… per questo non bisogna scandalizzarsi se talvolta ci si imbatte davvero in delle falsità. Non sempre dietro la penna che ha scritto quei versi c’è un uomo menzognero, che orgogliosamente vuol farsi padrone delle cose, può esserci semplicemente un uomo che ha sbagliato.
La letteratura è come la documentazione di quel rapporto così drammatico che c’è tra l’io e il mondo,; potrebbe essere la traduzione in parole di questa “lotta”. E quanto più un uomo è leale nel combattere questa lotta, tanto più c’è il rischio che inizi ad esprimersi con parole pesanti come macigni, perché vere. E quanto più queste sue parole pretendono di essere vere, tanto più lo spingono ad andare incontro agli altri, per comunicargliele, per metterle alla prova, ma mai per imporle.
Ciò che stupisce della letteratura è che dona a ciò che di più tipicamente umano ci sia, ovvero la parola, la forma e l’eleganza adeguate per una missione così importante come quella di comunicare un’esperienza vera. Sempre, quando assolve questo compito, la parola libera, fosse anche una parola intrisa di tragedia, perché ciò che libera è il poter conoscere la verità delle cose.
La letteratura, così come l’arte in genere, non può essere considerata come un qualcosa di estraneo alla vita ed alla realtà, proprio perché è di queste che si nutre, senza realtà non avrebbe il materiale di cui consistere. Il meraviglioso ruolo dell’artista è quello di usare tutta la sua creatività per ricomporre, dare ordine al flusso apparentemente confuso della vita per renderlo comprensibile a tutti e mostrarne la bellezza nascosta. Tutti, probabilmente, ci emozioneremmo davanti ad uno splendido paesaggio naturale, ma non tutti saremmo capaci di chiamare “Infinito” ciò di cui sentiamo nostalgia guardando a quello stesso paesaggio. Grazie ad un giovane di nome Giacomo Leopardi questa esperienza comune a tutti può ora avere una forma umanamente comprensibile e comunicabile. Che disastro sarebbe stato se Leopardi, invece di interrogare quella sua esperienza per scoprirne la verità, l’avesse chiamata “adolescenzialismo” inutile. Avrebbe soffocato l’impeto più umano che ci nasce nel cuore, e con quello avrebbe fatto una terribile violenza a chi poi avrebbe letto le sue poesie.
Non esiste letteratura senza un uomo che, in un modo o nell’altro, si implichi nel rapporto con la realtà. Al contrario, avremmo solo romanzetti da quattro soldi per cui non vale la pena spendere neanche un minuto del proprio tempo. E non esiste letteratura senza un lettore disposto ad accogliere la sfida lanciatagli da quelle pagine rigate di inchiostro.
Il rischio che si corre è quello di arrivare a scoprire qualcosa di veramente vero (!) tanto da diventare sempre più liberi, più liberi e più forti di quelle parole che, al contrario, vogliono farci brancolare nel buio e annegare nella menzogna.
(Carmen Costanza)