A questo punto, ci si chiede se ci sia un nesso tra la dichiarazione del mattino di tornare a fare il “Renzie” e l’annuncio della sera a Porta a Porta di rinviare il disegno di legge della Buona Scuola. A noi sembra che sulla Buona Scuola, Renzi sia sempre stato “Renzie”, con la stessa fatica dell’omologo Fonzie di ammettere di aver sbagliato.
Eppure, sulla scuola, gli errori sono stati molti, e continuano.
Il primo errore è stato quello di indebolire la visione del documento programmatico della Buona Scuola, approvando in Consiglio dei ministri un disegno di legge che annacquava i principi del merito con il mantenimento degli scatti di anzianità, della valutazione con il ritorno alla collegialità, dell’autonomia con la pervasività della burocrazia ministeriale.
Il secondo errore è stato quello di consentire alla Camera modifiche con cui si è ulteriormente ceduto a chi pensa ad una scuola per i docenti e non per gli studenti e quindi — in nome dell’egualitarismo formale — vuole continuare a non essere valutato, giudicato, a non rendere conto del proprio operato.
L’ultimo errore, in ordine di tempo, è quello di addebitare il rinvio dell’approvazione del ddl alla mole degli emendamenti presentati dalla stessa sinistra del partito di maggioranza e dalle opposizioni. In questo modo, il premier sbaglia tempo e merito. Sbaglia tempo perché ha annunciato il rinvio giusto la sera dopo la chiusura delle urne dei ballottaggi amministrativi. Sbaglia merito, perché in questo modo conferma freudianamente l’accusa che gli è stata rivolta fin dall’inizio, ovvero di usare la stabilizzazione ope legis come merce di scambio per quei residui punti qualificanti dell’impianto legislativo.
Essendo tutto politico lo scontro con la sinistra del suo partito, Renzi dovrebbe addebitarle l’incapacità di una visione riformatrice ed innovatrice e non la mancata stabilizzazione con il prossimo anno scolastico, anche perché il Governo potrebbe lo stesso immettere in ruolo tra i 60 e i 70mila insegnanti per coprire tutti i posti ancora disponibili e vacanti, al netto dell’organico dell’autonomia che sarà introdotto con il provvedimento ora al Senato.
Più che una vendetta politica, giustificare il rinvio come ha fatto il premier ieri sera sembra una vendetta verso la scuola e i suoi insegnanti, che tutti hanno additato come i veri responsabili dell’insuccesso della tornata elettorale delle amministrative. Ma attenzione: chi di vendetta colpisce non saprà mai se sarà l’ultimo a farlo.