La scena è cupa: il vecchio Tiberio sta per morire, tutta la corte, intorno, osserva. Il medico, ovviamente con un trucco, gli controlla il polso, e comunica la sua valutazione: un paio di giorni, non di più. A questo punto la scena raggiunge un vertice insieme di orrore e di crudeltà dell’intuizione psicologica: Tiberio, che stava perdendo le forze, ma non la dissumulatio, la capacità di nascondere le proprie reali intenzioni, ordina di preparare un banchetto in grande stile: è in onore di un amico che sta morendo, dice. È la metafora dell’abbandono della vita, impastata del livore sordo del rancoroso imperatore, e trasformata in un rito del terrore politico. Poi la notizia della morte, la rapida presa di potere da parte di Caligola, l’immediata smentita della notizia, il rinnovato terrore; e infine la decisione del prefetto del pretorio, che non perde il controllo e fa soffocare l’imperatore.
Facile, difficile? Certo, se la facilità viene misurata sulla complessità sintattica, Cicerone sarà sempre difficile e Tacito e anche Seneca facili. No, questo testo è difficile: l’analisi psicologica, il detto e non detto — e scorrendo un po’ in rete si trovano traduzioni proposte da volenterosi siti di aiuto ai sofferenti dotati di smartphone o meglio di orologio multimediale, che forse un grande aiuto non offrono, cariche come sono di fraintendimenti e piallature semantiche.
Le notizie sono ovviamente due, una buona e una cattiva. Quella buona è che si è appreso che il testo è stato accompagnato da un’introduzione. Ottima scelta. La “versione” è difesa da molti come prova di capacità di concentrazione e magari promossa ad esempio di “problem solving” (è noto che qualunque cosa detta in inglese si nobilita immediatamente): ma va da sé che un testo di quindici righe più o meno senza alcuna contestualizzazione può essere letto solo da chi sa ciò di cui si parla. Bene, quindi.
La cattiva notizia è che siamo sempre lì, sui cinque-sei autori. E qui non c’è niente da fare: finché lo studio del latino si identificherà con quei duecento anni di latino cosiddetto classico e zone limitrofe, al ministero non avranno molta scelta. Ma il latino ha una storia che dura fino all’età moderna: se vogliamo rendere infecondo questo studio, continuiamo a identificarlo solo con la classicità.
Una domanda, infine. Studiare latino ha senso in funzione dell’educazione linguistica e della coscienza storica: è troppo chiedere che alla versione, se la si vuole mantenere, si affianchino prove di comprensione del testo? Che cosa vuol dire dissimulatio? Perché Macrone, il prefetto del pretorio, l’assassino, è detto intrepidus? Qui il dizionario ritrova la sua vera utilità didattica. Ci sono diverse zone del testo di difficile intendimento per la concentrazione espressiva usuale di Tacito, per esempio dove si descrive l’occulta agitazione in vista dell’imminente successione. Anche qui, chiedere una breve analisi sarebbe utile.
Bisogna ragionare su queste prove, senza precipitazione ma neanche senza aspettare un bel decreto che trasformi il latino nella scuola italiana in un ricordo, con o senza rimpianti.
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