La presidente dell’Invalsi è vittima di una campagna di stampa falsa e tendenziosa. La sua intervista sul Corriere è stata stravolta nel suo senso, decontestualizzando ed estrapolando affermazioni parziali della sua nuova difesa dell’Invalsi e del sistema nazionale di valutazione che con grande fatica sta vedendo la luce, nonostante le ritrosie dei docenti e i boicottaggi sindacali. 



Nella migliore delle ipotesi, le sue parole sono state male interpretate.

Del resto non è la prima volta che la presidente è vittima della stampa, che la perseguita da prima ancora che venisse nominata, quando sui giornali fu dato grande risalto alla polemica sulla scelta dell’allora ministro Carrozza dei componenti della commissione di selezione, formata dai più importanti pedagogisti italiani che non avevano mai nascosto la loro contrarietà alle prove Invalsi. Da questo semplice indizio, la stampa ne aveva ricavato la prova della volontà di politica di voler cancellare le prove Invalsi, attribuendone al futuro presidente il ruolo di esecutore materiale. 



Appena insediatasi, la neopresidente si era poi vista attribuire la dichiarazione secondo cui le prove Invalsi sarebbero astruse e piene di trabocchetti e l’annuncio che le avrebbe cambiate e rese più semplici. La notizia era talmente infondata che la stessa presidente è stata costretta a scrivere agli estensori delle prove per precisare l’equivoco generato dalla solita stampa cospirativa.

Con l’ultimo attacco della stampa, si è però raggiunto il limite. 

Le dichiarazioni attribuite alla presidente sono talmente abnormi da rendere evidente che non possono essere sue. 

La presidente è persona di scienza, dall’indiscutibile onestà intellettuale. Non può aver assolutamente detto che sceglierebbe la scuola da far frequentare a suo figlio sulla base della distanza da casa, sulla presenza di un bel giardino o sulla possibilità di incontrare i compagni di classe più facilmente fuori dalla scuola, piuttosto che sulla base degli esiti delle prove Invalsi. 



Allo stesso modo, non potrebbe mai giustificare con queste motivazioni il rifiuto di rendere pubblici i risultati delle stesse prove, per rendere più trasparenti i criteri con cui le famiglie scelgono le scuole per i propri figli, anziché affidarsi all’informale “passaparola”. 

Soprattutto, non lo avrebbe mai fatto a pochi giorni dalla pubblicazione dei risultati del Rapporto di autovalutazione delle scuole (Rav), che fa parte della costruzione di quel sistema nazionale di valutazione, dopo troppi anni spesi faticosamente per diffondere la cultura della valutazione.

Al massimo, la presidente avrà detto che le prove Invalsi sono solo una parte di questo sistema di valutazione, che devono essere salvaguardate per evitare di togliere alla scuola italiana l’unico strumento consolidato di valutazione standardizzata degli apprendimenti, in linea con i più importanti sistemi di valutazione internazionali, curati in Italia dallo stesso Invalsi.

È certo che la presidente dirigerà l’istituto con grande senso di responsabilità, con la consapevolezza di doverlo salvaguardare da quel pedagogismo che è causa della peggiore segregazione sociale. Contro questa campagna di stampa, la presidente saprà sicuramente precisare la sua idea sulla necessità di dotarsi di strumenti di misurazione, che consentano di fare diagnosi del sistema, aumentare il grado di trasparenza delle scuole nei confronti delle famiglie e del territorio, stimolare il miglioramento ed attivare interventi mirati di supporto.

Per tutte queste ragioni, non vi può essere dubbio: le parole riportate nei virgolettati dell’articolo del 22 giugno, di pagina 27, del Corriere della Sera, non appartengono alla presidente dell’Invalsi.