All’uscita dalla Camera, il ddl Buona Scuola si presentava come un carciofo con qualche foglia in meno, ma manteneva intatta la struttura: una parte dedicata al piano di assunzione straordinario e una parte dedicata ad un’ampia delega al governo per la definizione concreta dell’autonomia scolastica. La foglia in meno era l’edulcorazione dei poteri del cosiddetto preside-sceriffo. Due gambe, dunque: assunzione dei 100.701 precari e innovazione futura. Quest’ultima più indefinita, perché affidata a una delega, tutta da riempire. 



Nel passaggio dalla Camera al Senato il percorso si è fatto più difficile. Nel mezzo ci sono stati i risultati elettorali, che vedono Renzi più debole. Perciò, sia l’opposizione di governo di centro-destra e di sinistra sia l’opposizione di partito, interna al Pd, hanno alzato i toni e hanno presentato circa 3mila emendamenti, alcuni di merito, altri palesemente ostruzionistici, con l’intenzione evidente di tagliare la gamba dell’innovazione. L’idea di fondo è spacchettare assunzione e innovazione, procedendo immediatamente per decreto sulla prima e rinviando alle calende greche la seconda. Su questa linea si sono attestati anche i sindacati.



Renzi ha reagito alzando la posta: minaccia di ritiro del ddl e convocazione di un’assemblea generale a luglio con tutti gli stakeholder. Incolpando del rinvio le opposizioni e i sindacati, su di loro era destinata a ricadere anche la responsabilità delle mancate assunzioni. Alla fine, Renzi deve aver pensato che ribaltare sulle opposizioni le mancate assunzioni non lo avrebbe sottratto alla rabbia dei precari; d’altronde, se avesse ceduto sulle parti più innovative del ddl, la Buona Scuola si sarebbe ridotta a una gigantesca sanatoria, qualitativamente non diversa da quelle che l’hanno preceduta nei decenni. Così ci si avvia ad un maxi-emendamento di 209 articoli che sintetizza le richieste più accettabili di modifica del ddl, quali espresse dai 3mila emendamenti. 



Per quanto riguarda le assunzioni, rispetto al testo della Camera, al Senato rientrerebbe l’assunzione al 1° settembre degli idonei del concorso del 2012 inizialmente rimandata al 2016. Il concorso 2016-2019 verrebbe bandito entro il 1° ottobre 2015. E potrà parteciparvi chi ha più di 36 mesi di supplenze. Per i precari di seconda fascia che rientrano nella sentenza della Corte di giustizia europea — che ha condannato l’Italia per abuso di precariato nella scuola — sarà bandito un concorso pubblico entro il prossimo 1° settembre, nel quale il servizio prestato per almeno 180 giorni verrà valorizzato attraverso un punteggio aggiuntivo.

Per quanto riguarda le innovazioni, l’organico dell’autonomia, gli albi territoriali, la chiamata diretta da parte dei presidi slittano all’anno scolastico 2016/2017. Sarà sempre il preside a valutare i neo immessi in ruolo, sentito il parere del Comitato di valutazione che nascerà in ogni scuola, finanziato con 40 milioni annui. La valorizzazione del merito degli insegnanti, cui sono destinati 200 milioni all’anno, incomincerà nel 2015-16. Il preside, sulla base dei criteri definiti dal Comitato di valutazione, distribuirà i premi ai docenti “migliori”. 

Tale nucleo valutatore sarà composto da tre docenti, due genitori — uno studente e un genitore nella secondaria di secondo grado — e un rappresentante esterno, nominato dell’Usr. Restano le detrazioni fiscali per le famiglie che scelgono di mandare i figli nelle scuole paritarie e la possibilità di donare finanziamenti liberali alle scuole statali e paritarie.

Che cosa resta del ddl della Camera? Sostanzialmente tutto, salvo qualche modifica dei tempi. E’ ciò che sostiene il variegato arcobaleno delle opposizioni, le quali, pertanto, si rifiutano di ritirare gli emendamenti. E perciò si andrà al voto di fiducia. Il ddl sta certamente oltre lo status quo, ma parecchio indietro rispetto all’emergenza educativa e alla domanda di innovazione necessaria alla scuola. Ma il Parlamento attuale rispecchia una sinistra, la cui constituency principale sono i dipendenti pubblici e i loro sindacati, e una destra senza idee. La risultante è questa.