Caro direttore,
gender? Per favore non facciamo confusioni, non agitiamo fantasmi, partiamo dai fatti e dalle parole scritte, che in tema di leggi fanno testo.

Primo fatto: in molte scuole italiane già da anni, e non in un prossimo futuro, si sta cercando di introdurre l’insegnamento della “teoria del gender”.



Secondo fatto: il disegno di legge sulla Buona Scuola non introduce per legge quell’insegnamento.

Valgano le parole dell’emendamento votato ieri dal Senato: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”.



Le parole incriminate, che inducono alcuni all’accusa di cedimento sulla teoria del gender, sono “prevenzione della violenza di genere”. Ora, in italiano si dice “genere maschile” e “genere femminile” non solo in grammatica ma anche per indicare il sesso delle persone. Quanto alla discriminazione, l’articolo 3 della nostra Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. In attuazione di questo principio, soprattutto di fronte alla violenza sulle donne, due anni fa è stata approvata una legge (quella a cui fa riferimento l’emendamento citato) dal titolo “Prevenzione e contrasto della violenza di genere”. Con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso. A favore di questa legge votarono il Partito democratico, il Popolo della libertà, Fratelli d’Italia, Scelta civica e il Gruppo misto. Passò alla Camera con 343 sì e nessun contrario, e al Senato con 143 sì e 3 contrari. Cinque stelle e Lega non parteciparono alle votazioni.



Combattere le discriminazioni di genere non vuol dire sposare la teoria del gender, per la quale l’identità di genere non è riconosciuta per un dato naturale ma scelta dal soggetto.

Questi i fatti. A cui se ne aggiunge uno rilevante: l’imponente piazza di sabato scorso a favore della famiglia. Al di là dei toni inutilmente polemici, divisivi e fuori luogo di qualcuno, quelle centinaia di migliaia di persone portavano all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica il valore della famiglia come elemento insostituibile per la costruzione di una società più a misura d’uomo.

Si diceva in quella piazza: una famiglia è composta da due genitori (maschio e femmina) e dai figli. Si affermava cioè un valore in positivo e si protestava contro il tentativo di “colonizzazione ideologica” (papa Francesco) della scuola attraverso l’insegnamento della teoria del gender. 

Gli allarmi lanciati da quella piazza e le testimonianze ascoltate confermano che questo tentativo è già in atto e non viene introdotto dalla legge sulla Buona Scuola.

Lotta alla discriminazione sessuale (sulla quale spero siamo tutti d’accordo) e teoria del gender sono due cose diverse.

A maggior tutela dell’evidenza che l’una non è il grimaldello per introdurre l’altra, alcuni senatori del Nuovo Centrodestra hanno espressamente chiesto al ministro dell’Istruzione e al ministro per i Rapporti con il Parlamento assicurazioni sul fatto che la teoria del gender non entrerà nei programmi scolastici e che eventuali attività extracurricolari di qualsiasi tipo dovranno ottenere sempre il consenso informato dei genitori, in base al principio per cui sempre la nostra Costituzione all’articolo 30 prevede che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Stefania Giannini e Maria Elena Boschi hanno pubblicamente confermato questa impostazione. In merito arriverà anche una circolare del ministero dell’Istruzione.

Tutto risolto? Assolutamente no. Solo che non bisogna sbagliare bersaglio e per sconfiggere la teoria del gender colpire una cosa buona come una riforma che inserisce nella scuola italiana merito, responsabilità del preside, autonomia, parità e detrazioni, possibilità di donazioni per le scuole e 100mila nuovi insegnanti di ruolo (altri 50mila nell’anno seguente) eliminando il disagio didattico delle supplenze.

La teoria del gender è già entrata nelle nostre scuole attraverso l’attività dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione), istituito nel 2003 presso il Dipartimento per le pari opportunità  della Presidenza del Consiglio. Il 20 novembre 2012, sotto le deleghe del ministro Fornero e con semplice Decreto del Dipartimento per le pari opportunità, venne istituito il Gruppo di lavoro con funzioni di consultazione ed elaborazione di proposte per la definizione della “Strategia nazionale di prevenzione e contrasto delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere 2013-2015”. Qui nascono i problemi, non con la Buona Scuola. Qui nascono gli opuscoli da distribuire nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado che con il pretesto dell’omofobia veicolano la teoria del gender. Qui nascono i tre libretti “Educare alla diversità” contro cui ci siamo battuti e che per ora sono stati messi da parte e non distribuiti.

Allora, invece di accusare la riforma della Buona Scuola per cose che non dice e lasciare che Unar continui a lavorare indisturbato, occorre chiarire il ruolo di Unar, le sue linee guida i protocolli stilati con ministero dell’Istruzione. Sono cose che chiediamo da tempo e a causa delle quali le opposizioni periodicamente chiedono le dimissioni del sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi del Nuovo centrodestra. 

Un’ultima, importante considerazione. Si costruisce sempre a partire da un fattore positivo già presente come esperienza nella realtà. La battaglia che io vedo decisiva non è una battaglia “contro” — anche se in ogni battaglia ci si scontra con qualcuno — ma una battaglia “per” la libertà, innanzitutto per la libertà di educazione. 

La Buona Scuola è un passo ulteriore verso la libertà di educazione, verso un sistema effettivamente paritario che permetta di costruire luoghi e scuole libere dove chi ha un’ipotesi educativa possa positivamente testimoniarla e portarla avanti.

Anche sul gender deve essere così. Papa Francesco, quando ne ha parlato, ha detto di una frustrazione, di un non saper accettare la differenza, di un passo indietro… ha cioè documentato un di meno di umanità. E’ per testimoniare un di più di umanità che noi chiediamo la libertà di educare, di intraprendere, di fare… non per contrapporre ideologicamente un’idea a un’altra. Il “consenso informato” delle famiglie è parte di questa libertà in positivo.

Direttore, grazie per l’ospitalità. Tanto era dovuto per fare un po’ di chiarezza e dissipare confusione. Poi in Italia c’è sempre la libertà di pensiero, anche quella di pensieri e parole in libertà.