Molte le classi che hanno visitato Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Il “reportage” di due giovani studentesse, Giorgia Vercelloni e Altea Fogh, 2a liceo scientifico N. Moreschi di Milano.
Cosa pensano le persone dell’Expo? Più volte questo evento è stato definito una “vetrina”, ma l’interpretazione di questo concetto spazia sulle più ampie interpretazioni: “L’Expo rende Milano il centro del mondo, fornendo una vetrina sull’umanità. Grande occasione per far risaltare e conoscere la nostra splendida terra”. “L’Expo è solo una vetrina. Finta, impaginata e soprattutto non rappresenta la realtà del mondo”.
Questo è quello che pensa la gente.
Molti non sono coinvolti da questo evento, perché sostengono che sia troppo condizionato dagli sponsor, anche se tanti però sono spinti ad andare a visitare l’Expo per i più svariati motivi, tra cui l’interesse per la sostenibilità delle costruzioni, la curiosità verso le abitudini delle popolazioni che vivono in realtà diverse dalla nostra, il consiglio di amici e soprattutto per il design.
Una delle idee che ha determinato maggiore affluenza e curiosità è proprio questa. Ma perché? Il design colpisce l’occhio e appaga, ma soprattutto non si dimentica. Designer come Stefano Boeri, Mark Rylander, Richard Burdett, Thomas Heatherwick e Marco Balich ci hanno fatto meravigliare con strutture moderne dall’architettura strabiliante, come l’orto verticale, l’albero della vita e gli stessi padiglioni.
L’Expo dovrebbe inoltre attrarre per il suo tema di interesse globale, poiché la nutrizione del pianeta è importante per tutti, eppure gli interessati sono meno di quelli che guardano i padiglioni.
Anche se questo dovrebbe essere il filo conduttore di tutta l’esposizione, che dovrebbe trattare delle tecnologie, dell’innovazione, della cultura, delle tradizioni e della creatività, molti non riescono a capire ciò che si potrebbe ricavare dopo la manifestazione, utilizzando così le idee nuove, né come i padiglioni possano aiutare in questo, anzi: “Perché il tema sia il cibo, i costi non dovrebbero essere così elevati. Il rapporto qualità prezzo è davvero improponibile”, si dice.
Eppure qualcosa tiene insieme tutto come una serie di ingranaggi perfetti, e l’evento attrae anche alcuni dei più scettici. Cosa più di tutto colpisce i visitatori? La connessione, non solo dei padiglioni tra loro, ma tra ciascuno di essi e il loro paese d’origine. Un legame di tradizioni e costumi, ma soprattutto fisico continuo, come ad esempio il padiglione della Gran Bretagna realmente collegato a distanza con l’alveare a Nottingham.
Altro aspetto importante sono i visitatori: secondo molti, dei 20 milioni che si prospettano, solo 6-7 milioni dovrebbero essere stranieri. “Andrò a visitare l’Expo, solo perché è a Milano, perché il viaggio non vale l’esperienza”.
Ciò che smentisce le previsioni di scarso afflusso di stranieri è la gente vera all’interno: non sono ologrammi o presenze inventate dai social media. Non sono nemmeno italiani mascherati, ma persone che hanno attraversato oceani per vedere un evento sensazionale. I loro occhi, non coinvolti dalle faccende politiche italiane, sono quelli capaci di goderselo, cogliendo i particolari che sono stati ricavati dallo sforzo e dai fondi di oltre 130 partecipanti.
Ma quando arriveremo al 31 ottobre, alla fine dell’evento, tutto questo sarà servito a far capire alle persone come sfruttare le risorse del pianeta in modo da riuscire a minimizzare lo squilibrio produttivo e di consumo?
Per la mia esperienza, penso che questa sia un’occasione senza pari, dove sembra di entrare in un’altra epoca circondati da persone appartenenti a tutte le etnie e per la prima volta ci si può sentire a casa e allo stesso tempo al centro del mondo.
(Giorgia Vercelloni)
E chi se lo aspettava così?
Sono stata all’Expo una volta sola e rispetto alle mie aspettative, certo confuse, non ha corrisposto; l’immagine più o meno vaga che avevo in testa è stata soppiantata dalla realtà.
Arrivando lì, dopo una coda sotto il sole di venti minuti, sono rimasta subito colpita da ciò che ho visto: una gigantesca piramide di legno senza punta, il padiglione zero, un vero spettacolo, come poi, del resto, anche il 95 per cento del resto degli edifici. Il decumano è costellato di ingegnerie architettoniche votate a magnificare il paese “ospitante” e a invogliare il visitatore a entrare e scoprire: ma scoprire che cosa? Scoprire le piante (perché una cosa che di certo non manca sono le piante, gli arbusti e tutte le forme di vita verde possibili) del paese o scoprire accenni di loro cultura. Di sicuro non scoprire l’idea di quel paese per nutrire il pianeta; perché, diciamocelo, tutti vorremmo vedere un mondo più verde e più pulito, però anche un pianeta la cui popolazione sia nutrita e in salute. Facendo un giro, girando per 12 ore in mezzo agli edifici, dentro agli edifici, pochi mi hanno parlato veramente del cibo, e nessuno mi ha dato un’idea significativa da portare a casa e rielaborare. A sorpresa, un solo paese, nel povero piccolo cluster del cioccolato, la Costa D’Avorio, mi ha parlato della sua produzione, della sua evoluzione culturale legata alle fave di cacao e al loro prodotto, amato da tutti e di cui sono i maggiori esportatori. E pensare che nel padiglione della Costa D’Avorio non c’era nessuno, passavano due o tre persone ogni tanto, attirate dal profumo di cioccolato fuso venduto in mezzo alle costruzioni.
In mezzo a questo limite che ho visto, ci si può chiedere se valga davvero la pena di andarci, a questa famigerata esposizione, rinomata per essere stata costruita in pochi mesi da uno Stato italiano con diversi problemi finanziari. La mia risposta? Sì, assolutamente. Chiunque sia titubante sappia che l’Expo Milano 2015 vale la pena di essere visitato anche solo a scopo culturale, per imparare e conoscere diverse etnie, diversi paesi che altrimenti possono restarci nascosti agli occhi.
(Altea Fogh)