Agli inizi di luglio arriva, oramai tradizionale, il rapporto nazionale sulle prove Invalsi. Un bello sprint — come ha fatto notare il responsabile del tutto, Roberto Ricci — visto che la prova nazionale incorporata negli esami di terza media è del 19 giugno.
A settembre, poi, tutte le scuole riceveranno i loro risultati, con una guida alla lettura che ogni anno dovrebbe essere sempre più amichevole, visto che dal 2015 essi dovranno fare parte integrante del Rapporto di valutazione e che perciò le scuole dovranno essere in grado di leggerli e capirli.
Va sempre ricordato che il rapporto Invalsi si riferisce ai dati sul campione delle scuole, dati che dovrebbero essere più attendibili per la presenza di osservatori esterni.
Quest’anno probabilmente l’attenzione va puntata, più che sui risultati, su alcuni elementi del contesto in cui si collocano.
I risultati infatti non sono molto diversi da quelli degli anni precedenti. Solito iato fra le due Italie, con una particolare accentuazione in matematica — in cui Sicilia e Sardegna sprofondano — ed una regione, le Marche, con un trend positivo che ne porta i risultati fra quelli delle regioni migliori. Che restano Veneto, Lombardia e le province di Trento e Bolzano. I costanti buoni risultati di Veneto e Lombardia — è stato sottolineato — sono particolarmente significativi perché si tratta di regioni molto popolate, con molte complessità (le percentuali di stranieri ad esempio) ed a statuto ordinario, cioè con gli stessi soldi delle altre, anzi con meno soldi delle regioni Pon e di quelle a statuto speciale.
Altrettanto, se non forse più interessante, la conferma che questo iato nasce e si approfondisce nel tempo perché in seconda elementare le diverse regioni sono tutte quasi allo stesso livello. Il che significa che non è la natura ma la cultura (società e scuola) a determinare lo iato che invece si deve registrare in terza media ed in seconda superiore.
La gerarchia fra gli indirizzi non cambia, anche se c’è da registrare ancora una volta il buon risultato dei tecnici del nord che superano la media dei licei di tutto il paese ed i livelli molto bassi degli istituti professionali del sud. Sugli indirizzi si è parlato di alcuni perfezionamenti che mirerebbero a differenziare, attraverso un campionamento più massiccio, le diverse tipologie di liceo, ordinamento che oramai coinvolge la metà dei giovani in indirizzi di diverso peso e che perciò non possono essere considerati dello stesso tipo. Ancora più importante la decisione di coinvolgere nella valutazione del secondo anno delle superiori anche l’istruzione e formazione professionale (IeFP), che ha ormai superato il 10% degli iscritti e che si presenta come una filiera completa, parallela alle altre, con il quarto anno, la possibilità di accesso al quinto dei percorsi di istruzione ed i corsi di livello terziario Its ed Ifts.
Ma il cambiamento progettato più significativo sembra essere quello dell’informatizzazione della somministrazione e della correzione-invio delle prove. Non si tratta solo di un aumento dell’efficienza: prove equivalenti somministrate nel giro di una settimana e corrette automaticamente che potrebbero fra l’altro contrastare il cheating. Si ipotizza infatti, sull’esempio di Pisa 2015, che possano essere valutate in tal modo anche le competenze cosiddette trasversali (soft skills), valutazione largamente invocata anche da parte degli oppositori delle attuali prove.
In realtà, nella secondaria, il campione del sud aveva migliorato i risultati. Ma la ragione non è confortante. E’ lì infatti — e qui si passa alle riflessioni di contesto — che si sono registrati massicci sabotaggi delle prove e, poiché risulta dai dati presenti nel rapporto che le scuole in cui studenti ed insegnanti hanno sabotato sono quelle che avevano registrato negli anni passati i peggiori risultati, è presumibile che il miglioramento sia essenzialmente dovuto all’autoselezione che ha visto la partecipazione solo dei migliori.
Dopo qualche anno in cui sembrava che nelle scuole fosse subentrata l’accettazione, l’assuefazione o la rassegnazione, quest’anno gli eroici furori contro la standardizzazione sono stati riattizzati dalla Buona Scuola ed in particolare dallo spettro del preside sceriffo. In conclusione, nelle regioni e nelle scuole con i peggiori risultati si è fatta di tutta l’erba un fascio, grazie anche alla furbizia dei sindacati che, guarda caso, hanno scelto proprio la data della prima prova alla primaria per proclamare lo sciopero generale. Prova rinviata ma con un forte effetto di trascinamento (voluto?) soprattutto nelle superiori, dove le agitazioni degli studenti ed il sabotaggio dei professori hanno ottenuto, senza pagare dazio, un glorioso oscuramento.
A leggere i giornali, in verità, pareva che le prove non si fossero svolte quasi dappertutto. In realtà il rapporto rivela che il dato nazionale del 77% di partecipazione deriva, almeno nel campione, da una partecipazione quasi totale al nord e al centro e da un sabotaggio molto forte o forte in Sicilia, in Campania, Sardegna, Puglia, ed anche Abruzzo e Lazio. Come detto sopra, giusto per non fare di tutta l’erba un fascio, in prima fila nel sabotaggio le scuole con i peggiori risultati. Più che della battaglia di coscienze critiche, affinate dalle elevate competenze, contro i danni della globalizzazione standardizzante, forse più semplicemente si tratta della pulsione a celare la propria sostanziale ignoranza.
Tanto che anche la presidente Invalsi Annamaria Ajello, che di tutto potrebbe essere accusata tranne che di essere una talebana della statistica e della standardizzazione culturale, ha manifestato nel suo intervento un certo sdegno contro chi si sottrae ai propri doveri (senza nulla pagare, si potrebbe aggiungere) sull’onda di un ahimè tradizionale ribellismo, ed ha auspicato da parte del mondo intellettuale analisi e posizioni più raffinate di quelle ancor oggi determinate da meri ideologismi.
Del resto anche il fronte del cheating (copiature) non marca bene. Si copia, sempre negli stessi territori, anche nel campione (e gli “osservatori” dove guardano?), si copia anche quando le prove vengono collocate nei diversi fascicoli in ordine diverso, il che fa ipotizzare ai competenti più un teacher cheating che uno student cheating.
Si discute tanto della valutazione dei dirigenti. E se si facessero, una volta tanto in Italia, le cose semplici e serie e si volesse considerare fra i criteri di valutazione il livello del cheating di una scuola? Si tratta di cosa su cui un dirigente bennato può sicuramente influire, diversamente che su altre. E certo, anche prima che le prove siano rese obbligatorie, come da più parti è stato nel dibattito auspicato.
La cosa più interessante sembra però l’utilizzo di questi dati, finora rimasti clandestini nella maggior parte delle scuole italiane. La norma relativa del Servizio nazionale di valutazione prevede che in questo stesso mese di luglio le scuole italiane tutte mettano in rete il loro Rapporto di autovalutazione (Rav) e che ad esso segua il Piano di miglioramento. Nel Rav una parte (piccola) dev’essere dedicata ad un’analisi dei risultati nell’anno precedente delle prove Invalsi ed il Piano di miglioramento deve vedere come obiettivi il miglioramento degli esiti che consistono in promozioni/ bocciature/ abbandoni, risultati scolastici e di occupazione dopo il termine del proprio segmento scolastico ed infine, last but not least, nei risultati delle prove Invalsi. Troppo poco? Probabilmente sì, ma sempre meglio della semiclandestinità di 7 anni e, se si è in buona fede e si sa lavorare, un decente inizio in un contesto così difficile come quello italiano.
La dirigente del Miur Carmela Palumbo, competente per la valutazione, ha ricordato che attraverso questa strada i risultati delle prove Invalsi lasciano la loro solitudine e si inseriscono in un contesto istituzionale diventando obbligatoriamente oggetto di analisi per il miglioramento ed anche — si potrebbe aggiungere — di pubblicizzazione nei confronti di famiglie e società.
Molto dipende anche dalla serietà con cui verrà gestita tutta l’operazione e con cui verranno seguiti i lavori delle scuole. Molto dipenderà anche dalla qualità dell’intervento sul 10% delle scuole — di cui una parte molto opportunamente scelta in maniera del tutto casuale — che dovrebbe aver luogo nel prossimo anno scolastico.
In contemporanea alla presentazione del rapporto Invalsi veniva approvata in Parlamento la legge sulla scuola del governo Renzi che — come ha ricordato con giusta soddisfazione la presidente Ajello — prevede un sufficiente stanziamento quadriennale per le prove nazionali ed internazionali. Ridiventa anche obbligatoria la formazione per gli insegnanti in servizio, cancellata demagogicamente qualche anno fa e che peraltro tutte le professioni di una certa pretesa prevedono, senza farne ragione di sconcerto o di contrarietà. Forse che solo gli insegnanti sono già tutti imparati? Chissà che la formazione serva almeno a far capire che chiamare le prove Invalsi quiz non è segno di grande livello culturale.