Ora che la legge n. 107 del 2015 è stata approvata (ed entrata in vigore) e ora che è finalmente può leggersi nella sua stesura definitiva è possibile fare delle valutazioni a ragion veduta.
Vorrei sgombrare subito il campo da critiche che mi sembrano francamente inconsistenti e che rischiano, invece, di spostare il fuoco dalle vere criticità del provvedimento.
Tra queste una è di carattere generale e due più specifiche.
Quella di carattere generale riguarda l’omogeneità del provvedimento ed il suo essere “sbriciolato” in tanti argomenti diversi. Il tema è affrontato da anni nei trattati scientifici e sono decenni che i tecnici lamentano l’utilizzo di tali tecniche legislative che, peraltro, non consentono mai di ricostruire con una certa attendibilità lo “scopo” della legge, che costituisce, invece, un elemento importante di giudizio per il giudice e per quello costituzionale in particolare. Ciò detto, il problema è che più le leggi sono complesse e più sono oggetto di una trattativa politica che, inevitabilmente, e nei vari passaggi, ne snatura l’intendimento.
Inoltre la fine del cosiddetto consociativismo ha prodotto come esito anche questo: le leggi (quelle di sistema) non vengono più concordate dai maggiori partiti politici e poi portate in Parlamento come frutto di un accordo politico già assunto. Al contrario il Parlamento è divenuto una specie di “arena” in cui tutto diventa possibile. Il che, oltre a comportare indubbi vantaggi (il dibattito democratico non viene occultato) produce svantaggi collaterali (le mediazioni spinte all’inverosimile pur di far approvare la legge).
Veniamo alle critiche più specifiche. La prima è di aver costruito la legge intorno alla necessità di assunzione dei precari. Non mi pare che si potesse fare diversamente: la Corte di giustizia è stata chiara, ma soprattutto è la nostra Corte costituzionale che, attraverso il rinvio pregiudiziale, ha mostrato il suo convincimento: il sistema del precariato nella scuola va risolto. Certo si sarebbe potuto stralciare questa parte e rinviare il resto. Ma ciò fa parte di quelle mediazioni di cui sopra: il Governo voleva un provvedimento più generale e le opposizioni hanno alla fine accettato tale intendimento ricavandone la possibilità di introdurre una serie di aggiustamenti, ovvero di inserirvi altri aspetti.
Sempre con riguardo agli aspetti più generali vi è chi, erroneamente, ha paragonato la chiamata diretta dagli albi territoriali prevista dalla legge con la norma della legge Lombardia dichiarata incostituzionale dalla Corte. La legge della Lombardia è stata dichiarata incostituzionale perché violava la competenza statale a definire le modalità di assunzione e perché attribuiva alle scuole la definizione delle modalità concorsuali. Nulla di tutto ciò è previsto nella legge attuale: i concorsi sono statali ed è lo Stato (il Miur o le direzioni regionali, che sempre Stato sono) a guidare le procedure e a provvedere alle assunzioni.
La seconda è quella secondo cui con questa legge si “aziendalizza” la scuola. Premesso che un’azienda è, dal punto di vista giuridico-economico, un complesso di beni organizzati da un imprenditore per esercitare un’impresa da cui si trae un utile o un profitto. Mi chiedo: dov’è il complesso di beni? (è tutto statale o comunque pubblico: edifici, personale…); dov ‘è l’imprenditore? (vorremmo mica paragonare i dirigenti scolastici, funzionari statali, ad imprenditori?), e soprattutto, dov’è l’utile?
Se poi con l’utilizzo di questo termine si vuole significare un potere più penetrante del ds nell’organizzazione della scuola, allora dobbiamo concludere che lo stesso utilizzo è “ideologico” al modo inteso da Hannah Arendt: definisce un sistema indipendentemente dalla realtà. La realtà, infatti, ci dice che la scuola non è un complesso di beni privati, che non c’è a capo un imprenditore privato e che non fa utili. Dunque non è un’azienda. Dei poteri del ds allora sarebbe bene discuterne, in un’altra dimensione a cui tra poco si arriverà.
Il vero tema che credo sia utile porsi è dunque un altro: questa legge attua o meno l’autonomia delle scuole, così come prevista nell’art. 21 della legge n. 59 del 1997 e nel Dpr 275 del 1999?
Il vero tema di politica scolastica, da quasi vent’anni a questa parte, è infatti quello dell’autonomia, intesa come responsabilità di assunzione della funzione pubblica dell’istruzione-educazione. Se l’autonomia non è finalizzata all’assunzione della responsabilità nello svolgimento del servizio pubblico dell’istruzione, tradisce la sua natura. L’autonomia non è fine a se stessa: non viene data alle scuole o al ds per fare ciò che vogliono, senza risponderne a nessuno. Essa è invece servente al raggiungimento degli obiettivi che il sistema si pone: educare ed istruire i ragazzi. Perciò essa è responsabilità e non una responsabilità generica, ma una responsabilità specifica che deve essere assegnata a ciascuno degli attori del sistema e poi deve essere monitorata e valutata in maniera oggettiva.
Credo che chi vuole giudicare questa legge debba dichiarare il punto di vista da cui la giudica. Il mio è quello dell’attuazione dell’autonomia, l’unica vera riforma di sistema, l’unica capace di dare centralità alle comunità educanti e alla relazione educativa.
Con riguardo a questa prospettiva si sarebbe potuto fare di più. Soprattutto bisognava evitare di sommergere le scuole con centinaia di indicazioni “prioritarie” (rafforzamento di: legalità, sport, musica, discipline motorie, pronto soccorso, educazione adulti e chi più ne ha più ne metta), naturalmente a costo zero e nel limite delle risorse di personale disponibile. Peraltro in molti casi si tratta di competenze già attribuite ad altri enti (v. orientamento ed educazione degli adulti, che dal 1998 sono compiti dei Comuni), con la conseguenza di sovrapporre competenze e creare confusione.
Sarebbe stato certamente più utile, invece, rafforzare l’autonomia organizzativa, assegnando agli Usr compiti amministrativi di supporto (contabilità, amministrazione in genere) e dare spazio alla scuola autonoma in funzione di comunità educante.
In ogni caso ora la legge c’è. Vi è da augurarsi che nella sua attuazione prevalga la linea del rafforzamento di tali aspetti, per procedere finalmente nel solco tracciato dalla legge Bassanini sin dal 1997.