Quando i media hanno dato notizia della sentenza della Cassazione dell’8 luglio scorso che, accogliendo il ricorso del Comune di Livorno ha sentenziato che le “scuole religiose” devono pagare l’Ici poiché non sono attività che possono godere dell’esenzione, mi è venuto il complesso di “Cassandra”.



Quando un anno fa, su questa testata, in un mio articolo avevo messo in evidenza quanto il problema era lontano da una vera soluzione, poiché tutto quanto messo in gioco per appianare i guai messi in moto dal decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 e il susseguente emendamento 92 bis voluto dal Governo Monti nei vari interventi politici che si sono susseguiti finalizzati a tentare di “far rientrare dalla finestra” le scuole paritarie “lasciate fuori dalla porta” ha, a mio avviso, seguito una strategia sbagliata basata sulla ricerca di possibili adeguamenti e non sulla modifica delle leggi vigenti.



Ribadisco che “il peccato originale” sta nell’obiettivo che il decreto si poneva, ossia quello di risolvere l’esenzione dal pagamento dell’Ici per i beni ecclesiastici e non di valutare questo problema nell’ottica della tassazione degli immobili utilizzati per svolgere il servizio pubblico di istruzione e formazione da parte delle istituzioni scolastiche paritarie.

Le nostre leggi vigenti in materia parlano chiaro e considerano attività commerciale qualsiasi servizio che venga fornito dietro il versamento, pur minimo, di un contributo economico, tanto che nella motivazione della sentenza la Corte di Cassazione ritiene irrilevante l’eventuale bilancio in passivo, la natura no profit o lo scopo di lucro dell’ente, ma sufficiente l’idoneità a conseguire ricavi anche al solo fine di pareggio di bilancio.



La decisione del Mef dello scorso anno di prevedere un modello di dichiarazione Imu per gli enti non commerciali con l’indicazione di una valore massimo della retta applicata parametrata con il costo studente per lo Stato, accolta con particolare favore dalle scuole paritarie religiose, alla luce di questa sentenza si rivela non la soluzione, ma un ottimo adeguamento.

Le reazioni a caldo sia istituzionali, sia delle associazioni interessate, sia della Cei, preoccupano, perché ancora una volta non vanno alla radice del problema, anche se giustamente evidenziano una palese ingiustizia, reclamano una soluzione in chiave europea, paventano una motivazione ideologica, tornano a vantare diritti legati alla situazione no profit di queste scuole, fanno crescere la preoccupazione che altre scuole non potendo sopportare la nuova richiesta economica dovranno chiudere, con conseguente oggettivo grande incremento per lo Stato dei costi necessari per supplire il servizio pubblico che queste istituzioni non potranno più fare, scuole dell’infanzia in particolare.

Dei tanti commenti, il più concreto ritengo sia quello del ministro Giannini quando osserva che i giudici dicono “che c’è un trattamento diverso tra pubbliche e paritarie”, quando ritiene “che forse ci sia una riflessione da fare” e rammenta che “l’Italia l’ha fatto 15 anni fa, con una bella legge a firma Berlinguer che così sintetizza: “La Repubblica italiana è dotata di un sistema nazionale pubblico, statale e non statale. È un sistema integrato dell’istruzione, un sistema che lo Stato si impegna ovviamente con modalità differenti, a far sviluppare e non declinare”.

A conclusione ribadisco quanto già espresso nel mio citato articolo: occorre che tutti i politici che dicono di avere a cuore la libertà di scelta educativa, che considerano le scuole paritarie parte integrante dell’unico sistema pubblico di istruzione e formazione, che ritengono importante ed indispensabile il prezioso servizio pubblico che offrono, battano un colpo e varino una legge di un solo articolo che, sulla base delle motivazioni scritte dalla Corte di Cassazione nella sentenza, dica con chiarezza che l’esenzione dell’Imu deve essere concessa per tutti gli immobili che vengono utilizzati per il servizio pubblico di istruzione; altrimenti, cercando ancora soluzioni solo interpretative, ci troveremo nel futuro di fronte ad altre sentenze di organi della magistratura che, dobbiamo ricordare, non potranno che emettere sentenze avendo come riferimento la norma vigente e non interpretazioni.

Il tempo ormai è quasi scaduto. Si chiede coraggio, realismo, valutazione economica e giustizia.