“Le rette scolastiche degli enti senza fini di lucro non servono a generare profitto ma a coprire una parte delle spese. Far pagare l’Imu alle paritarie è quindi un controsenso”. Lo afferma Giuseppe Fioroni, ex ministro dell’Istruzione nel governo Prodi, secondo cui per risolvere il problema basterebbe una legge di una riga nella quale si affermi che “gli enti gestori di scuole senza reddito e senza profitto non possono essere considerati attività commerciali”. Lo scorso 8 luglio la Cassazione ha accolto il ricorso del Comune di Livorno, stabilendo che le scuole paritarie devono pagare l’Imu perché non sono attività che possono godere dell’esenzione.



La sentenza ha riaperto una ferita. Secondo lei perché?

Intanto va ricordato che le sentenze della Cassazione non hanno immediatamente una valenza universale. Creano però un riferimento giuridico non indifferente, e vanno inserite nel contesto che stiamo vivendo oggi.

In che senso?

I Comuni italiani si trovano in grandissima difficoltà per la chiusura dei bilanci di previsione e per la quadratura di quelli pluriennali. Questa sentenza può essere dunque un’occasione per ritenere di poter iscrivere in bilancio quelle somme dovute ieri come Ici, oggi come Imu e, sulla scorta della sentenza della Cassazione, avere una legittimazione per poterle chiedere alle scuole paritarie.



E’ una soluzione adeguata?

In uno Stato di diritto e in una democrazia matura come la nostra non si può scaricare un problema simile né sulla magistratura né sui Comuni. Né tantomeno si possono lasciare le scuole paritarie “in mano” alle decisioni dei singoli sindaci. Nella Buona Scuola il premier Renzi ha introdotto il principio della deducibilità fiscale. Per poter applicare i principi della legge, le paritarie devono continuare a esistere.

La sentenza della Cassazione rischia di fare chiudere moltissime paritarie. Come si può risolvere questo nodo?

Abbiamo due punti di riferimento: la Costituzione, in cui si parla di libertà di scelta delle famiglie per quanto riguarda l’insegnamento, e di diritto all’istruzione che deve essere garantito a ciascun cittadino italiano. Il Parlamento ha stabilito che il sistema di istruzione della Repubblica italiana sia composto da scuole statali e paritarie.



Quali effetti produrrebbe la chiusura delle paritarie?

Recherebbe tre danni: toglierebbe il diritto costituzionale alla libertà di scelta; trasformerebbe la seconda gamba del sistema d’istruzione in una scuola per pochissimi e molto ricchi; produrrebbe un danno allo Stato nei costi che ne deriverebbero.

La legge 26 del 2000, che assegna uguale dignità alle paritarie, non sembra contravvenire al “senza oneri per lo Stato” contenuto nell’articolo 33 della Costituzione?

Qui non si tratta di oneri a carico dello Stato, ma del fatto che abbiamo deciso per legge di sgravare dalle tasse i servizi pubblici, sanità e istruzione, qualora non abbiano finalità di lucro. La retta scolastica non ha come finalità il profitto dell’ente gestore, in quanto è una parziale contribuzione alle spese. Lo documentano le passività che hanno la maggior parte delle scuole paritarie. Così come a nessuno viene in mente di tassare la mensa della Caritas, allo stesso modo non ha senso farlo con le paritarie senza fini di lucro. Per non parlare del fatto che con la retta scolastica della paritaria il cittadino si trova costretto a pagare per avere un proprio diritto costituzionalmente sancito.

 

L’esenzione Imu serve a far risparmiare lo Stato?

Le scuole paritarie non sottraggono risorse alla scuola pubblica. Per dare una risposta a 1 milione e 300mila studenti delle paritarie, oggi lo Stato spende 470 milioni di euro. Se dovesse farsene carico direttamente spenderebbe qualche miliardo.

 

Come si spiega allora che nel tempo ci siano stati tanti appelli contro le paritarie?

Noi siano un Paese con un dibattito fatto da un’eccessiva componente ideologica e da contrapposizioni tra le diverse fazioni, massimaliste e iperliberiste, anziché dal tentativo di risolvere i problemi a vantaggio dei cittadini. In questo modo, come ha detto monsignor Galantino, “si mette la fetta di prosciutto sugli occhi e, nel perseguire il teorico meglio, si impedisce il bene possibile”.

 

In concreto che cosa dovrebbe fare il governo?

Vedo che si parla di riforme complessive, di tavoli e di altre cose astruse. Qui quello che serve è una norma di una riga che dica che “gli enti gestori di scuole senza reddito e senza profitto non possono essere considerati attività commerciali”.

 

(Pietro Vernizzi)