Lo dicono tutti. La scuola paritaria garantisce un notevole risparmio per lo Stato e garantisce la libertà educativa per le famiglie. Se poi gli istituti paritari dovessero chiudere sarebbero guai seri per le amministrazioni locali e centrali. Eppure ogni tanto salta su qualche problema. Sono infatti note le riduzioni o i ritardi nell’erogazione dei contributi statali che mettono in seria difficoltà gli enti gestori. Fece poi scalpore la direttiva comunitaria che nel 2011 impose di non finanziare le istituzioni scolastiche non statali per non concedere aiuti di Stato a enti considerati commerciali, in quanto come contropartita dell’offerta formativa ricevono un dazione di denaro. L’ultima difficoltà in ordine di tempo è rappresentata dalle sentenze 14225 e 14226 della Corte di Cassazione che rimette in discussione tutta la normativa e chiede un nuovo giudizio per stabilire se i due istituti religiosi livornesi siano tenuti a pagare l’Ici e le relative sanzioni per gli anni 2004-2009.



Se da una parte la politica spesso guarda con diffidenza, se non con ostilità, ”le scuole dei preti” e addirittura il capogruppo alla Camera di Sel, Arturo Scotto, parla di privilegio medievale, anche l’aspetto normativo non presenta una situazione di acclarata certezza. Il Governo Monti per superare l’impasse creato dalla distinzione, introdotta dalla normativa europea, tra enti commerciali e non commerciali, introdusse il criterio del costo standard (quello per alunno negli istituti scolastici statali), per cui le scuole che spendevano per ogni alunno una cifra al di sotto di tale soglia potevano considerarsi “enti non commerciali” e non erano tenute a versare l’Imu per gli spazi dedicati alle attività didattiche. In questo modo per il 2013 e 2014 le scuole, nel presentare la dichiarazione Imu, non furono tenute a versare gli arretrati, mentre dal 2014 entrava in vigore il criterio del costo standard.



Tutto sembrava risolto, ma il pronunciamento della Cassazione mette nuovamente tutto in discussione e la legge 62/2000 sulla Parità non ha ancora trovato un adeguato riscontro nelle normative secondarie e non è punto di riferimento giurisprudenziale. Il Governo, dopo il grido di dolore che si è levato dalla Cei e dalle associazioni di categoria, ha promesso un tavolo di lavoro. L’altro ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti aveva annunciato un incontro con tutte le sigle che si interessano delle Paritarie, ma il suo ufficio ha fatto sapere ieri che non è stata ancora stabilita una data precisa. L’incontro dovrà servire per istituire un tavolo tecnico di confronto per proporre adeguate soluzioni normative. Anche il Ministro Stefania Giannini è intervenuta sulla questione dichiarando, pur non essendo di pertinenza del Miur la questione Imu sollevata dalla sentenza, che le paritarie “garantiscono la libertà di scelta educativa” e che le non statali sono una realtà consistente, come in Veneto, dove il “67% della educazione infantile e della scuola primaria è coperta dalle scuole paritarie”. Tuttavia il ministro dell’Istruzione si dovrebbe ricordare che il Veneto garantisce adeguati finanziamenti alle scuole non statali e alle famiglie che optano per tali scuole. Lacrime di coccodrillo? Forse, visto che le detrazioni concesse alle famiglie nella legge cosiddetta della “Buona scuola”, appena approvata dal Parlamento, ammontano a poche decine di euro all’anno.



In questi giorni, a commento della sentenza, sono molte le dichiarazioni di principio, ma la compagine di maggioranza non è ancora riuscita a indicare un percorso in cui la valorizzazione delle Paritarie rappresenti un plusvalore per la scuola italiana e non solo un favore alla componente cattolica della società italiana. A calmare le acque è intervenuto ieri anche il primo presidente della corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, che in un comunicato ha precisato come la sentenza non obblighi automaticamente al pagamento dell’Ici per gli anni in cui è sorto il contenzioso. Il presidente ha ribadito che il dispositivo, annullando la sentenza di secondo grado, rimanda nuovamente al giudice di merito, affinché stabilisca se la didattica non si sia svolta ”in concreto con le modalità di un’attività commerciale”.

Un dato però è certo. Il criterio di “attività non commerciale” potrebbe non essere solido ed essere smontato da altre sentenze, per cui sicuramente bisognerà fondare l’esenzione su altri criteri. L’occasione è dunque unica sia per il Governo che per le componenti di maggioranza e di minoranza che vedono e giudicano positivamente la presenza della scuola non statale. Il tavolo tecnico di De Vincenti, tuttavia, per essere autorevole avrà bisogno dell’avallo anche del premier Matteo Renzi e del ministro dell’Istruzione Giannini. Il banco di prova è pronto.