Immaginiamo che ci sia una triade nella struttura e gerarchia delle scuole, formata dal preside e dal vicepreside, affiancati dai presidi di primarie, medie e liceo. Poi ci sono i direttori dipartimentali, e infine i presidi degli studenti; in scala discendente per ciò che riguarda le responsabilità di questi diversi esperti nei vari campi amministrativi, pedagogici e disciplinari. Queste persone fanno parte del gruppo della governance didattica della scuola. Ma non è poi veramente necessario immaginare tutto ciò, se vogliamo per un attimo osservare la realtà presente delle scuole negli Stati Uniti.
Lasciamo da parte il discorso dei dettagli del settore privato vs. quello pubblico: quest’ultimo è in crisi da circa mezzo secolo negli Stati Uniti, per cui le famiglie che hanno possibilità finanziarie sacrificano i loro risparmi dal momento in cui nascono i figli per mandarli o alle scuole religiose, che sono già ad un livello più alto e ad un costo molto più basso, o a quelle a cui hanno un facile accesso le famiglie benestanti; queste ultime sono le Scuole preparatorie K-12, che vanno dall’asilo all’ultimo anno del liceo. Tutto ciò viene fatto sotto l’urgenza della competitività, dato che il traguardo ulteriore è la corsa alle università che sono moltissime ed estremamente selettive. Ma ciò che a noi ora interessa è cercar di vedere come si possa creare, o immaginare, una scuola ideale che si basi sul reale.
Dico reale, perché l’ideale comprende sempre il potenziale della corruzione (e la corruzione non è nazionale, è universale). La mia lunga esperienza di docente liceale negli Stati Uniti mi ha mostrato che ogni passo verso l’ideale-reale viene costantemente ostacolato da chi (come sempre e ovunque), essendo completamente concentrato sulla sua personale e ambiziosa scalata al potere, è pronto ad abbattere l’innovazione quand’essa venga percepita come minaccia. Basta essere intelligenti per creare timore; se poi si aggiunge la creatività, allora si creano dei nemici. Ma tutto ciò è risaputo, e in fondo non importa molto.
Cosa c’è allora nel sistema nordamericano che permette agli studenti di appassionarsi allo studio e alla ricerca, di scoprire la strada che li soddisfi? Cosa c’è che permette agli insegnanti di immedesimarsi nella loro materia e dare il meglio di sé, prestando attenzione al modo differenziato in cui si deve presentare ad ogni studente l’oggetto dell’insegnamento? Come si raggiungono questi traguardi, nella realtà?
La scuola degli Stati Uniti che conosco e in cui ho operato per decenni è in continua evoluzione. Si aggiorna, si modifica e si re-inventa senza tregua. Ogni generazione chiede qualcosa di nuovo e il professore, accompagnato dai colleghi in riunione e assieme al direttore di dipartimento, è responsabile di mantenere un livello di eccellenza.
Il preside del liceo (faccio l’esempio del liceo anche perché poi da lì si spicca il salto verso l’università, e cioè verso il futuro), essendo il responsabile della qualità complessiva della sua scuola ha riunioni con i singoli presidi di ogni disciplina, con i docenti, gli studenti e anche con i genitori quando sia necessario. Inoltre convoca riunioni una o due volte al mese con tutti: docenti e Deans. Quindi il dialogo, individuale e di gruppo, è essenziale; con una continuità stabilita nel calendario e durante le occasioni di emergenza. Il ruolo del Dean of Students è sia accademico sia disciplinare. Se la scuola è molto grande ci possono essere due Deans per ogni anno di corso. Sono persone stimate e a cui si fa ricorso quando si inizia a scorgere un problema con un singolo studente o con un’intera classe. Il Dean poi mantiene, se necessario, un dialogo con lo studente e anche con i genitori.
Ciò che sto descrivendo è una specie di gerarchia o palo di un totem, in cui ciascuno — e sono molti — ha molteplici e importanti responsabilità: per esempio, come direttrice della facoltà di lingue, io dovevo occuparmi del continuo rinnovamento del curriculum e dell’efficacia della metodologia usata da ogni docente, a partire dall’asilo fino all’anno della maturità. Inoltre, dovevo ascoltare prima di tutto le preoccupazioni dei genitori riguardo ai problemi personali e accademici dei figli e anche dei rapporti di costoro con l’insegnante. Se non riuscivo a risolvere la questione allora si richiedeva una riunione con il preside della sezione, primaria, media o liceo che fosse.
Inoltre, per assicurarsi che l’insegnamento fosse sempre dinamico e innovativo si doveva incoraggiare (e ciò faceva parte della valutazione e inoltre anche di una auto-valutazione annuale) quello che viene chiamato Professional Development. Questo comporta la partecipazione liberamente scelta a vari convegni in tutto il paese (con rimborso spese da parte della scuola), o visite ad altre scuole preparatorie, o conferenze sulla propria materia, ecc. Le possibilità negli Stati Uniti sono vastissime in questo senso. Insomma, la qualità dell’insegnante è sempre sotto osservazione e questi sforzi vengono riconosciuti nel contratto di lavoro, che nel settore privato degli Stati Uniti è annuale. Cioè, ogni anno si firma un contratto per un anno soltanto.
Eh, sì! Nelle scuole più forti e affermate, dopo tre anni di prova, il contratto è “ufficiosamente” a tempo indefinito (quello che si usa definire come an unwritten law: una regola o un diritto non ufficiale). Non esiste nel privato un’età pensionabile. Nelle scuole più fragili questa pratica del contratto di un solo anno può portare a situazioni di intimidazione e anche a licenziamenti ingiustificati. E’ vero che ci si può sempre rivolgere ad un avvocato, e spesso basta solo menzionare questa intenzione per bloccare le strategie discutibili.
Ma in un paese dove nel settore privato non esistono sindacati, soltanto nelle città più cosmopolite si trovano individui che siano in grado di difendersi efficacemente. Questi Stati che sono Uniti dal governo di Washington, e dall’amore per la patria, sono in realtà tanti paesi profondamente diversi fra di loro. E fuori dalle grandi città l’America del Nord è tutt’oggi molto provinciale.
E in questo quadro qual è il ruolo del Principal (questo titolo vale per le scuole pubbliche) o Headmaster/ Headmistress (titolo tradizionalmente ancora usato nel privato)? Fino a un paio di decenni fa questa persona si occupava principalmente di: presiedere a tutte le funzioni importanti dentro e fuori la scuola, di conoscere molto bene i suoi amministratori (i Deans e i presidi) e i docenti (accompagnando personalmente questi ultimi in casi di difficoltà, e occupandosi del problema in questione assieme e accanto a loro); e rappresentare il modello etico e filosofico della scuola, ciò viene definito come la mission della scuola. Inoltre, il suo compito era quello di ascoltare e dialogare sulla “missione” e l’andamento della scuola con il consiglio di amministrazione, il potere di ultima istanza al di sopra dello Headmaster o della Headmistress. Negli anni più recenti, il preside Principal ha cominciato a occuparsi troppo esclusivamente di questioni finanziarie, distanziandosi dalla didattica e dai suoi rappresentanti. Conseguenza: il potere passa agli altri presidi. Questo grande cambiamento viene spesso criticato oggi come riflesso di una logica eccessivamente finanziaria, col risultato che le scuole private negli Stati Uniti corrono il rischio di seguire sempre più spesso il modello delle ditte private.
Conclusione? Il potere, cioè il fare, non deve essere mai specifico o assoluto, ma deve essere molteplice e condiviso. L’eccellenza pedagogica della scuola deve sempre essere il suo massimo traguardo: cioè, la sua vera e unica missione.