I cambiamenti contenuti nel disegno di legge sulla Buona Scuola che tra oggi e domani sarà approvato in via definitiva alla Camera sono un importante passo avanti rispetto al passato. L’introduzione del merito come criterio per premiare gli insegnanti o per distribuire le risorse per gli istituti tecnici superiori (Its), una maggior autonomia (e responsabilizzazione) dei dirigenti scolastici, il riconoscimento dell’articolazione del sistema educativo in scuola statale, scuola paritaria e sistema dell’istruzione e formazione professionale (IeFP), l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro come modalità diffusa di apprendimento, le risorse dedicate alla valutazione, lo school bonus sono alcuni esempi concreti di un segnale di cambiamento che si attendeva da tempo. Certo c’è molta strada ancora da fare. Sulla formazione professionale molto dipenderà da come si lavorerà per l’attuazione della delega prevista nel ddl, sulla valutazione occorrerà discutere dei criteri adottati, sulla detraibilità fiscale per le paritarie occorrerà lavorare per trovare le risorse che la rendano effettiva, sull’autonomia conteranno molto le modalità tecniche con cui verrà attuata.



Il bicchiere è dunque mezzo pieno e paradossalmente la contestazione di cui è stato fatto oggetto il percorso della Buona Scuola non ne dimostra tanto i limiti (pur presenti), ma piuttosto la difficoltà, spesso legata a corporativismi e assetti ideologici di chi non vuole cambiare mai nulla e soprattutto di chi non si rende conto del contesto sociale e economico in cui viviamo. In tal senso è apparsa spesso pretestuosa ad esempio la polemica sul ruolo del preside da parte di chi afferma che questa porterà al clientelismo; a parte il fatto che il clientelismo in Italia ha ben altre radici, in ogni caso la famiglie e i giovani sapranno scegliere e riconosceranno le scuole che funzionano meglio e vorranno frequentarle. Inoltre anche la paura delle scuole di serie A e B non può essere pretesto per un livellamento verso il basso; ci vogliono pari opportunità per tutti (e si troveranno gli strumenti per garantirle), ma l’uguaglianza va perseguita verso l’eccellenza. 



Se vogliamo dunque affrontare i nodi della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e della stessa capacità di competere del nostro paese dobbiamo agire con coraggio sul sistema educativo.

Per fermarsi a un solo esempio il tema del rapporto tra scuole e lavoro è un nodo essenziale. Per questo introdurre l’alternanza nelle scuole e soprattutto ridare centralità in tutto il paese al sistema della formazione professionale per i giovani e alla strutturazione di un sistema di formazione tecnica non universitaria è una risposta concreta e indifferibile. I dati europei (ma anche quelli italiani laddove la formazione professionale esiste ed e ben strutturata) mostrano che questa strada è efficace. 



In tale contesto, grande rilevanza avrà anche il percorso dei decreti attuativi del Jobs Act nel sostenere strumenti come l’apprendistato o per la nascita di un vero sistema duale italiano, così come quelli per il  rafforzamento delle politiche attive. 

Non sfugge che tanta strada è ancora da percorrere, ma la strada intrapresa dal Parlamento e dal Governo, dai ministri Giannini e Poletti con il sostegno del premier, è quella giusta. L’aver tenuto duro su una riforma complessiva, senza stralciare il solo tema dell’assunzione dei precari, misura forse giusta e indifferibile, ma certamente non la più innovativa e la più essenziale per un cambiamento del sistema educativo, è stata una scelta coraggiosa. 

Il meglio è nemico del bene e il massimalismo spesso presente nel dibattito del nostro paese è stato per troppo tempo lo strumento dell’immobilismo.