Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” diceva il titolo del Meeting di Rimini. Me ne sono reso conto quando ho visto, nelle piscine ovest della Fiera di Rimini, la barca a vela “Ma Vie”, un prototipo da regata in fibra di carbonio lunga sei metri e mezzo che sarà utilizzata per attraversare l’oceano, dalla Francia al Messico, tra il 19 settembre e il 30 novembre, per  una regata denominata “Mini-Transat”. Accanto ad essa stava il suo skipper, Michele Zambelli. Di lui ha parlato anche Avvenire in un articolo del 26 agosto e, con grandi titoli nelle locandine (“Forlivese sfida l’oceano in solitaria”), i giornali locali.



Michele, classe 1990, forlivese come me, l’ho conosciuto anni fa perché figlio di amici. Veniva al SalvaGente, il centro di aiuto allo studio che, insieme ad altri insegnanti, avevo aperto per aiutare i ragazzi delle scuole superiori a ritrovare il gusto dello studio. 

Lui, Michele, il gusto dello studio pareva non averlo proprio; intelligente, acuto e talvolta provocatorio, la scuola non lo appassionava affatto. Il suo sguardo era spesso malinconico, insoddisfatto, talvolta arrabbiato. Non riuscimmo ad aiutarlo. Come tanti altri ragazzi — i famosi “dispersi” — cambiò scuola una prima e poi una seconda volta, per approdare infine ad un corso serale di indirizzo professionale, grazie al quale, mentre lavorava di giorno, concluse il suo tempestoso percorso. 



Per uno di quegli strani accadimenti che noi, in modo del tutto inappropriato e solo per il nostro limite, chiamiamo “caso”, lesse su un giornale la possibilità di entrare nel mondo della navigazione e si appassionò all’idea. Il resto è noto ed è scritto sul suo sito.

Fin qui la premessa. Quale mancanza traspare, come un abisso misterioso e inquietante, negli occhi, negli sguardi, nelle parole e nei gesti (spesso scolasticamente “inappropriati”) dei nostri studenti, in particolare di quelli che a scuola fanno fatica, non si trovano, non riescono. E quanta incapacità della nostra scuola di starvi di fronte, di farla emergere come ricchezza. E’, in fondo, la vera questione educativa.



Quanti studenti così ho incontrato. E quante volte mi sono stupito nello scoprire che dopo un percorso scolastico modesto o talvolta addirittura fallimentare, avevano realizzato cose importanti nel mondo del lavoro! Magari quelle cose “importanti” che nello schema scolastico e sociale (e spesso familiare…) non sono codificate: fare lo skipper, per esempio, non è una di quelle cose che un genitore immagina o auspica per il proprio figlio; e nemmeno il percorso lavorativo consigliato nelle indicazioni orientative della scuola. Li vorremmo tutti medici, avvocati, commercialisti o informatici. E loro, invece, desiderano (spesso senza rendersene conto fino in fondo) di più: il mare aperto, ardite e inaccessibili cime, sfidare l’incognito, grandi orizzonti indefiniti. La realizzazione, insomma, delle misteriosa promessa che ognuno avverte nel proprio cuore. 

E la scuola cosa fa? Li chiama dispersi. E invece di aiutarli a cercare di dare un nome e un volto alla mancanza, tante volte li “bastona” facendogli credere di essere meno intelligenti o capaci, solo perché non rispettano il cliché. Fino, in molti casi, ad espellerli dal sistema.

Ecco, sarebbe stato necessario un bell’incontro sulla scuola che mettesse a tema la grande ricchezza che lo sguardo pieno di mancanza di tanti nostri studenti — proprio i “peggiori” — rappresenta per tutti: per loro, per gli insegnanti, per la società intera. E sulla necessità che anche la scuola esca verso le periferie dell’esistenza, e torni a mettere al centro la persona con il suo destino. Tanto spesso facciamo leggere i versi di E.L. Masters nella Antologia di Spoon River sulla necessità di “sciogliere le vele e seguire i venti del destino ovunque spingano la barca”, ma siamo i primi ad essere come “una barca che anela al mare eppure lo teme”. 

Alla domanda dell’intervistatore di Avvenire su cosa spinge uno skipper ad affrontare un’impresa del genere, completamente solo e isolato dal mondo, Michele ha risposto: “La stessa cosa che ha spinto Cristoforo Colombo a mettersi in mare: scoprire cosa c’è oltre l’orizzonte e scoprire se stessi”.

E allora cento, mille, diecimila Michele Zambelli. La nostra scuola ne è piena, impari ad amarli e a scoprirli.